La confisca di prevenzione di cui al “Codice antimafia”
10 ottobre 2016 -
1. La confisca di prevenzione
La confisca quale misura di prevenzione
fa ingresso nel nostro ordinamento con la legge 646/1982 (c.d. Rognoni -
La Torre), la quale, imponendosi nel solco della passata legislazione
antimafia, ha implementato il sistema delle misure di prevenzione
contenuto nella legge 575/1965, affiancando alle misure di carattere
personale, quelle “patrimoniali” del sequestro e della confisca. Un
intervento legislativo mosso dalla consapevolezza, maturata nella
prassi, per cui il vero strumento di deterrenza e di lotta contro il
fenomeno della criminalità organizzata era, ed è, rappresentato da
interventi idonei ad incidere sulle potenzialità economiche di questa,
interventi in grado di colpire l’illecita accumulazione di ricchezza da
parte delle organizzazioni criminali e dalle stesse reimpiegata
alterando il normale corso del circuito economico.
Si è, infatti, constatato che le
organizzazioni criminali di tipo mafioso, riescono, grazie alle proprie,
spesso ingenti, risorse economico-finanziarie ed alle proprie elevate
capacità di condizionamento più o meno larvato, ad infiltrarsi,
mimetizzandosi, nei più disparati settori dell’economia e ad esercitarvi
il proprio nefasto potere allo scopo di incrementare le proprie
ricchezze e la propria influenza.
La confisca dei beni
dell’indiziato di appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso viene
così a concretizzare la più energica reazione dello Stato
all’accumulazione capitalistica mafiosa.
2. Misure di prevenzione e misure di sicurezza
In risposta a tale spiegata esigenza la confisca, già positivizzata all’articolo 240 codice penale, si era rivelata inadeguata. Espressamente qualificata dal codice come “misura di sicurezza” di tipo patrimoniale, quest’ultima va a collocarsi tra le sanzioni accessorie post delictum
applicate dal giudice a prescindere dall’accertamento del requisito
della pericolosità sociale dell’autore del reato, ma ancorandole ad una
valutazione di pericolosità della cosa legata alla commissione
dell’illecito.
Nella sua versione ordinaria la confisca
consiste, infatti, nell’acquisizione coattiva, senza indennizzo, da
parte dello Stato di beni legati ad un reato da un nesso c.d. di
“pertinenzialità”, in quanto - per ripetere la formula dell’articolo
citato - servirono o furono destinate a commetterlo o perché ne
rappresentano il prodotto o il profitto (confisca facoltativa, basata
sul giudizio di pericolosità che, in concreto, il giudice è chiamato a
formulare, tenendo conto dell’effetto induttivo determinato nel
colpevole dalla disponibilità della res), ovvero il prezzo o in
quanto si tratta di cose di cui la fabbricazione, l’uso, il porto, la
detenzione o l’alienazione costituisce reato (confisca obbligatoria, la
pericolosità è intrinseca alla res, pertanto, presunta iuris et de iure).
Già da questo succinto quadro emergono i limiti applicativi di tale misura rispetto all’aggressione dei patrimoni mafiosi;
limiti così sintetizzabili: a) l’istituto, sia nella forma facoltativa
che in quella obbligatoria, presuppone un nesso di pertinenzialità tra
la res e la fattispecie criminosa; b) il potere di ordinare la
confisca è subordinato alla pronuncia di una sentenza di condanna; c)
l’espressa previsione della inapplicabilità della misura se la cosa
appartiene a persona estranea al reato, che non agevola in linea di
principio l’ablazione di beni formalmente appartenenti a terzi estranei
al reato - mediante, per esempio, fittizi trasferimenti ed intestazioni -
ma nella sostanziale disponibilità del condannato.
La confisca di prevenzione per essere incisiva deve superare queste limitazioni, per cui il requisito della pertinenzialità poc’anzi citato non è richiesto per la sua adozione, essendo, infatti, una misura ante delictum si prescinde dall’accertamento di uno specifico fatto di reato; ergo,
come conseguenza logica non si richiede neanche un pronunciamento in
termini di condanna da parte del giudice (è, tra l’altro, espressamente
sancita l’indipendenza dell’azione di prevenzione dall’esercizio
dell’azione penale); ed, infine, la confisca in esame ben può, di
regola, colpire beni che risultino nella disponibilità di terzi estranei
al reato.
3. Presupposti applicativi della confisca ex art. 24 Decreto Legislativo 159/2011
Dalla data della sua prima introduzione,
la disciplina sulle misure di prevenzione ha subito una serie di
importanti modifiche. In questa sede ci si limiterà ad evidenziare
l’approdo raggiunto con il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159,
il c.d. “Codice antimafia”.
Operando una reductio in un unico corpus
di tutto un complesso di norme stratificatesi nel tempo, spesso di
difficile coordinamento e lettura, le norme del Titolo II del citato
Codice razionalizzano la normativa in materia.
I soggetti passibili di applicazione di
tali misure possono essere quelli indicati dall’articolo 16 del Decreto
Legislativo 159, che alla lettera a) fa esplicito rimando all’articolo 4
del medesimo decreto che annovera tra i destinatari delle misure di prevenzione gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis codice penale.
L’articolo 24, comma 1, del Codice
Antimafia ancora la confisca ad una pluralità di parametri probatori: un
primo di carattere negativo, per cui occorre che la persona, nei cui
confronti è instaurato il procedimento di prevenzione, non possa
giustificare la legittima provenienza dei beni sequestrati; un secondo
di carattere positivo, attinente alla relazione tra i beni e il
proposto, per cui è necessario che lo stesso soggetto, anche per
interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere
la disponibilità a qualsiasi titolo dei beni; in ultimo, un terzo
parametro, anch’esso di carattere positivo, concernente la derivazione
illecita degli stessi, si richiede che questi presentino un valore
sproporzionato al reddito, dichiarato ai fini delle imposte dirette, o
all’attività economica del proposto, ovvero che essi risultino essere
frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
La giurisprudenza è costante
nell’affermare che l’impiego del termine “risultare” con riferimento
alla disponibilità dei beni, ma anche alla loro derivazione
(“risultino”), corrisponda alla necessità di una prova rigorosa, fondata
su indizi gravi, precisi e concordanti.
Per completezza di indagine va precisato
che la norma in esame non configura una inversione dell’onere
probatorio, ma pone a carico della difesa - come vuole normale
dialettica processuale - un onere di allegazione delle prove a
discarico.
4. Irrogabilità delle misure patrimoniali ultra mortem del proposto. Principio dell’applicazione disgiunta
Tra i molteplici interventi diretti ad
utilizzare in modo sempre più efficace la leva del contrasto alla
proprietà illecita o illecitamente conseguita si può annoverare la possibilità di confiscare beni nei confronti degli eredi di un soggetto nei cui confronti tale misura poteva essere proposta.
Si tratta di un’importante innovazione
degli ultimi anni, riformulata in maniera più precisa all’articolo 18
del Decreto legislativo 159/2011, resa possibile dall’introduzione del principio - prima non contemplato - di applicazione disgiunta della misura patrimoniale rispetto a quella personale.
Precedentemente il tessuto normativo
relativo all’applicazione delle misura di prevenzione era disegnato in
termini di applicazione necessariamente congiunta delle due misure.
Quindi, la novità di cui si discute è andata, quindi, ad incidere su di
un tessuto normativo dominato dal c.d. principio di accessorietà, in
forza del quale la misura patrimoniale non poteva prescindere da quella
personale. Siffatta impostazione partiva dalla convinzione che il
fondamento delle misure patrimoniali non fosse da rinvenirsi nel
carattere illecito dei beni colpiti, in conseguenza della loro sospetta
illegittima provenienza, essendo rivolte non ai beni come tali, ma ai
beni entrati nella disponibilità di persone socialmente pericolose,
perché indiziate di appartenere ad associazioni mafiose o a queste
assimilate: la pericolosità del bene è un portato della pericolosità
della persona che ne dispone.
Ma se ricordiamo che la finalità
delle misure di prevenzione patrimoniali è quella di impedire che beni
illecitamente acquisiti producano ulteriori illeciti o rechino un danno
all’assetto economico generale, viene facile e immediato cogliere il
profilo di criticità di detto orientamento, che non consente di disporre
la confisca nel caso di mancata applicazione della misura personale di
prevenzione per morte del proposto.
Anche perché, non va sottaciuto, un
aspetto di non improbabile ricorrenza dato il contesto in cui ci
muoviamo: che il decesso non sia riconducibile a cause naturali o
accidentali, ma sia preordinato (e, cioè, voluto o premeditato) al fine
di far “rientrare” i beni nel circuito dell’associazione mafiosa,
seppure attraverso l’interposizione di soggetti diversi, gli eredi per
esempio, laddove fosse consentita la caducazione della confisca a
seguito della morte del proposto.
Lo scopo dichiarato è quello di
sottrarre i beni al “circuito economico” di origine, per inserirli in un
altro esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo.
Ed è proprio questa finalità ad accentuare e giustificare la tendenza
alla oggettivizzazione del procedimento patrimoniale antimafia,
consentendo l’applicazione della misura patrimoniale nei confronti
dell’erede in seguito al decesso del suo dante causa.
5. La revocazione della confisca
Va, tuttavia, sottolineato che, oltre a
poter impugnare il provvedimento con il quale il Tribunale dispone la
confisca dei beni sequestrati, è riconosciuta agli eredi raggiunti dalla
confisca la possibilità di utilizzare il nuovo strumento della revocazione ex articolo 28 del Codice antimafia.
Per procedersi a revocazione è, però,
necessario che ricorra una delle seguenti tre ipotesi: la scoperta di
prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento;
che i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o
conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di
prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di
applicazione della confisca; che la decisione sulla confisca sia stata
motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti
riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto
dalla legge come reato.
Se le prove decisive, le sentenze penali
o l’accertamento delle falsità potevano essere acquisite mentre il
procedimento era ancora in corso, sembrerebbe - dal tenore delle
disposizioni - che non vi siano margini per dedurli con il ricorso alla
revocazione, rimanendo a carico dell’interessato le conseguenze della
sua scarsa diligenza.
Sempre al fine di responsabilizzare i
soggetti rispetto a pratiche defatigatorie, si è previsto che la
revocazione non possa essere chiesta da chi, potendo o dovendo
partecipare al procedimento, vi abbia rinunciato, anche non
espressamente.
In ultimo va ricordato che, anche in caso di accoglimento della domanda di revocazione, quando un bene
è stato confiscato con provvedimento definitivo, esso non può più
essere retrocesso ed eventuali ipotesi satisfattorie dei diritti del
sottoposto o di terzi potranno avvenire esclusivamente “per equivalente”.
Scelta normativa motivata dalla
constatazione che, per effetto della possibilità di proporre la revoca
della confisca, i soggetti in favore dei quali sono stati destinati i
beni confiscati – nella maggior parte dei casi i Comuni - si
troverebbero nell’impossibilità di investire su di essi in funzione del
loro riutilizzo per finalità sociali, in ragione della presentazione di
istanze di revoca, che rendono instabile il giudicato di prevenzione. A
ciò si aggiunge il rischio che, tramite interposizioni fittizie, spesso
difficilmente dimostrabili, i beni confiscati possano rientrare nella
disponibilità dei destinatari della misura.
Articolo pubblicato in: Diritto penale, Codice antimafia
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