martedì 11 ottobre 2016

La confisca di prevenzione di cui al “Codice antimafia”

La confisca di prevenzione di cui al “Codice antimafia”

10 ottobre 2016 -
La confisca di prevenzione di cui al “Codice antimafia”

1. La confisca di prevenzione

La confisca quale misura di prevenzione fa ingresso nel nostro ordinamento con la legge 646/1982 (c.d. Rognoni - La Torre), la quale, imponendosi nel solco della passata legislazione antimafia, ha implementato il sistema delle misure di prevenzione contenuto nella legge 575/1965, affiancando alle misure di carattere personale, quelle “patrimoniali” del sequestro e della confisca. Un intervento legislativo mosso dalla consapevolezza, maturata nella prassi, per cui il vero strumento di deterrenza e di lotta contro il fenomeno della criminalità organizzata era, ed è, rappresentato da interventi idonei ad incidere sulle potenzialità economiche di questa, interventi in grado di colpire l’illecita accumulazione di ricchezza da parte delle organizzazioni criminali e dalle stesse reimpiegata alterando il normale corso del circuito economico.
Si è, infatti, constatato che le organizzazioni criminali di tipo mafioso, riescono, grazie alle proprie, spesso ingenti, risorse economico-finanziarie ed alle proprie elevate capacità di condizionamento più o meno larvato, ad infiltrarsi, mimetizzandosi, nei più disparati settori dell’economia e ad esercitarvi il proprio nefasto potere allo scopo di incrementare le proprie ricchezze e la propria influenza.
La confisca dei beni dell’indiziato di appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso viene così a concretizzare la più energica reazione dello Stato all’accumulazione capitalistica mafiosa.



2. Misure di prevenzione e misure di sicurezza

In risposta a tale spiegata esigenza la confisca, già positivizzata all’articolo 240 codice penale, si era rivelata inadeguata. Espressamente qualificata dal codice come “misura di sicurezza” di tipo patrimoniale, quest’ultima va a collocarsi tra le sanzioni accessorie post delictum applicate dal giudice a prescindere dall’accertamento del requisito della pericolosità sociale dell’autore del reato, ma ancorandole ad una valutazione di pericolosità della cosa legata alla commissione dell’illecito.

Nella sua versione ordinaria la confisca consiste, infatti, nell’acquisizione coattiva, senza indennizzo, da parte dello Stato di beni legati ad un reato da un nesso c.d. di “pertinenzialità”, in quanto - per ripetere la formula dell’articolo citato - servirono o furono destinate a commetterlo o perché ne rappresentano il prodotto o il profitto (confisca facoltativa, basata sul giudizio di pericolosità che, in concreto, il giudice è chiamato a formulare, tenendo conto dell’effetto induttivo determinato nel colpevole dalla disponibilità della res), ovvero il prezzo o in quanto si tratta di cose di cui la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione costituisce reato (confisca obbligatoria, la pericolosità è intrinseca alla res, pertanto, presunta iuris et de iure).

Già da questo succinto quadro emergono i limiti applicativi di tale misura rispetto all’aggressione dei patrimoni mafiosi; limiti così sintetizzabili: a) l’istituto, sia nella forma facoltativa che in quella obbligatoria, presuppone un nesso di pertinenzialità tra la res e la fattispecie criminosa; b) il potere di ordinare la confisca è subordinato alla pronuncia di una sentenza di condanna; c) l’espressa previsione della inapplicabilità della misura se la cosa appartiene a persona estranea al reato, che non agevola in linea di principio l’ablazione di beni formalmente appartenenti a terzi estranei al reato - mediante, per esempio, fittizi trasferimenti ed intestazioni - ma nella sostanziale disponibilità del condannato.

La confisca di prevenzione per essere incisiva deve superare queste limitazioni, per cui il requisito della pertinenzialità poc’anzi citato non è richiesto per la sua adozione, essendo, infatti, una misura ante delictum si prescinde dall’accertamento di uno specifico fatto di reato; ergo, come conseguenza logica non si richiede neanche un pronunciamento in termini di condanna da parte del giudice (è, tra l’altro, espressamente sancita l’indipendenza dell’azione di prevenzione dall’esercizio dell’azione penale); ed, infine, la confisca in esame ben può, di regola, colpire beni che risultino nella disponibilità di terzi estranei al reato.

3. Presupposti applicativi della confisca ex art. 24 Decreto Legislativo 159/2011

Dalla data della sua prima introduzione, la disciplina sulle misure di prevenzione ha subito una serie di importanti modifiche. In questa sede ci si limiterà ad evidenziare l’approdo raggiunto con il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il c.d. “Codice antimafia”.

Operando una reductio in un unico corpus di tutto un complesso di norme stratificatesi nel tempo, spesso di difficile coordinamento e lettura, le norme del Titolo II del citato Codice razionalizzano la normativa in materia.

I soggetti passibili di applicazione di tali misure possono essere quelli indicati dall’articolo 16 del Decreto Legislativo 159, che alla lettera a) fa esplicito rimando all’articolo 4 del medesimo decreto che annovera tra i destinatari delle misure di prevenzione gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis codice penale.

L’articolo 24, comma 1, del Codice Antimafia ancora la confisca ad una pluralità di parametri probatori: un primo di carattere negativo, per cui occorre che la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento di prevenzione, non possa giustificare la legittima provenienza dei beni sequestrati; un secondo di carattere positivo, attinente alla relazione tra i beni e il proposto, per cui è necessario che lo stesso soggetto, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo dei beni; in ultimo, un terzo parametro, anch’esso di carattere positivo, concernente la derivazione illecita degli stessi, si richiede che questi presentino un valore sproporzionato al reddito, dichiarato ai fini delle imposte dirette, o all’attività economica del proposto, ovvero che essi risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’impiego del termine “risultare” con riferimento alla disponibilità dei beni, ma anche alla loro derivazione (“risultino”), corrisponda alla necessità di una prova rigorosa, fondata su indizi gravi, precisi e concordanti.

Per completezza di indagine va precisato che la norma in esame non configura una inversione dell’onere probatorio, ma pone a carico della difesa - come vuole normale dialettica processuale - un onere di allegazione delle prove a discarico.

4. Irrogabilità delle misure patrimoniali ultra mortem del proposto. Principio dell’applicazione disgiunta

Tra i molteplici interventi diretti ad utilizzare in modo sempre più efficace la leva del contrasto alla proprietà illecita o illecitamente conseguita si può annoverare la possibilità di confiscare beni nei confronti degli eredi di un soggetto nei cui confronti tale misura poteva essere proposta.

Si tratta di un’importante innovazione degli ultimi anni, riformulata in maniera più precisa all’articolo 18 del Decreto legislativo 159/2011, resa possibile dall’introduzione del principio - prima non contemplato - di applicazione disgiunta della misura patrimoniale rispetto a quella personale.

Precedentemente il tessuto normativo relativo all’applicazione delle misura di prevenzione era disegnato in termini di applicazione necessariamente congiunta delle due misure. Quindi, la novità di cui si discute è andata, quindi, ad incidere su di un tessuto normativo dominato dal c.d. principio di accessorietà, in forza del quale la misura patrimoniale non poteva prescindere da quella personale. Siffatta impostazione partiva dalla convinzione che il fondamento delle misure patrimoniali non fosse da rinvenirsi nel carattere illecito dei beni colpiti, in conseguenza della loro sospetta illegittima provenienza, essendo rivolte non ai beni come tali, ma ai beni entrati nella disponibilità di persone socialmente pericolose, perché indiziate di appartenere ad associazioni mafiose o a queste assimilate: la pericolosità del bene è un portato della pericolosità della persona che ne dispone.

Ma se ricordiamo che la finalità delle misure di prevenzione patrimoniali è quella di impedire che beni illecitamente acquisiti producano ulteriori illeciti o rechino un danno all’assetto economico generale, viene facile e immediato cogliere il profilo di criticità di detto orientamento, che non consente di disporre la confisca nel caso di mancata applicazione della misura personale di prevenzione per morte del proposto.

Anche perché, non va sottaciuto, un aspetto di non improbabile ricorrenza dato il contesto in cui ci muoviamo: che il decesso non sia riconducibile a cause naturali o accidentali, ma sia preordinato (e, cioè, voluto o premeditato) al fine di far “rientrare” i beni nel circuito dell’associazione mafiosa, seppure attraverso l’interposizione di soggetti diversi, gli eredi per esempio, laddove fosse consentita la caducazione della confisca a seguito della morte del proposto.
Lo scopo dichiarato è quello di sottrarre i beni al “circuito economico” di origine, per inserirli in un altro esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo. Ed è proprio questa finalità ad accentuare e giustificare la tendenza alla oggettivizzazione del procedimento patrimoniale antimafia, consentendo l’applicazione della misura patrimoniale nei confronti dell’erede in seguito al decesso del suo dante causa.

5. La revocazione della confisca

Va, tuttavia, sottolineato che, oltre a poter impugnare il provvedimento con il quale il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, è riconosciuta agli eredi raggiunti dalla confisca la possibilità di utilizzare il nuovo strumento della revocazione ex articolo 28 del Codice antimafia.

Per procedersi a revocazione è, però, necessario che ricorra una delle seguenti tre ipotesi: la scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; che i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; che la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

Se le prove decisive, le sentenze penali o l’accertamento delle falsità potevano essere acquisite mentre il procedimento era ancora in corso, sembrerebbe - dal tenore delle disposizioni - che non vi siano margini per dedurli con il ricorso alla revocazione, rimanendo a carico dell’interessato le conseguenze della sua scarsa diligenza.

Sempre al fine di responsabilizzare i soggetti rispetto a pratiche defatigatorie, si è previsto che la revocazione non possa essere chiesta da chi, potendo o dovendo partecipare al procedimento, vi abbia rinunciato, anche non espressamente.
In ultimo va ricordato che, anche in caso di accoglimento della domanda di revocazione, quando un bene è stato confiscato con provvedimento definitivo, esso non può più essere retrocesso ed eventuali ipotesi satisfattorie dei diritti del sottoposto o di terzi potranno avvenire esclusivamente “per equivalente”.

Scelta normativa motivata dalla constatazione che, per effetto della possibilità di proporre la revoca della confisca, i soggetti in favore dei quali sono stati destinati i beni confiscati – nella maggior parte dei casi i Comuni - si troverebbero nell’impossibilità di investire su di essi in funzione del loro riutilizzo per finalità sociali, in ragione della presentazione di istanze di revoca, che rendono instabile il giudicato di prevenzione. A ciò si aggiunge il rischio che, tramite interposizioni fittizie, spesso difficilmente dimostrabili, i beni confiscati possano rientrare nella disponibilità dei destinatari della misura.
Articolo pubblicato in: Diritto penale, Codice antimafia

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