martedì 18 giugno 2024

La creazione di moneta scritturale popolare: l’esempio del Regno Unito

La creazione di moneta popolare: l’esempio del Regno Unito

Praticità inglese

(tratto da: Moneta e promesse, di Paolo Zannoni, 2024)



   Ed ecco l’ultimo esempio, questa volta tratto dal mondo degli empirici inglesi anziché dei romantici italiani. Nel 2017 ero uno dei fellow dell’International Center for Finance di Yale, che si affaccia su Whitney Avenue, nel cuore di New Haven. L’atmosfera era informale: fellows e professori discutevano continuamente dei propri interessi e progetti di ricerca. Tra i più presenti c’era Gary Gorton, uno dei migliori studiosi di banca e finanza al mondo. Nel periodo trascorso al centro ho avuto la fortuna di passare diverso tempo con Gary, chiacchierando di arbitraggio, lettere di cambio e, naturalmente, di Bernardo Davanzati.

   All’epoca Gary studiava in che modo attori privati come mercanti, fabbricanti e ordinari cittadini – chiunque tranne le banche – creassero denaro. Gli inland bills inglesi – lettere di cambio in una sola valuta che circolano all’interno di un solo Paese – erano un esempio perfetto di creazione di moneta da parte di attori che non erano né Stati né banche. In Inghilterra gli inland bills non venivano emessi dai banchieri e non servivano a fare arbitraggio tra valute e mercati; non somigliavano ai soldi, non avevano l’odore dei soldi, ma sembravano comportarsi come soldi.


Che cos’erano allora, e come funzionavano?

   Gary non era il primo a porsi questa domanda. Fin dal 1695 il Parlamento inglese, banchieri e studiosi dibattevano su cosa fossero gli inland bills e su quale ruolo svolgessero nell’economia del Paese. È facile vedere il perché di tanta curiosità.

Nel XVIII secolo nel Nord dell’Inghilterra la moneta era scarsa. Le monete di Zecca erano poche e le banconote della Banca d’Inghilterra circolavano quasi esclusivamente a Londra. Le banche locali, poco capitalizzate, potevano emettere poco debito. Ma le contee del Nord – le città e i villaggi – erano il centro della Rivoluzione industriale inglese. Non doveva essere facile costruire nuovi impianti industriali, produrre e vendere di più. Per fortuna, gli imprenditori del Nord industrializzato erano uomini di grande creatività.

   Sir Samuel Fludyer era un mercante dello Yorkshire che vendeva stoffe e tessuti. Nel 1738 aprì un emporio a Londra per essere più vicino ai propri clienti; in questo modo poteva sapere quali stoffe e quali colori erano di moda e quindi produrre e consegnare ciò che si vendeva meglio. Tra i suoi fornitori c’erano un certo Floodshire, tintore, e un certo Daniel Packer, tessitore. Un network, esattamente come quello di Pisa tre secoli prima.

   Come i pisani anche i tre allegri imprenditori dello Yorkshire – il mercante Fludyer, il tintore Floodshire e il tessitore Packer – erano indebitati l’uno con l’altro e con i propri fornitori. Inoltre, anche nello Yorkshire del Settecento il tessitore voleva pagare il tintore con il debito che il mercante aveva nei suoi confronti ma, sfortunatamente, nel Nord dell’Inghilterra i tre partner non potevano andare alla banca locale o a una fiera di cambio per scambiare promesse con un banchiere: dunque dovevano trovare un altro modo di saldare i propri debiti con quelli altrui.

   Anche loro si servirono di lettere di cambio ma di un tipo particolare. In Inghilterra ne circolavano di due tipi. Il primo era la lettera usata al di fuori del Paese, non molto diversa da quelle emesse e saldate alle fiere di cambio di Lione: quattro attori, due mercati, due valute; poi c’erano gli inland bills, obbligazioni che erano denominate in sterline inglesi e che circolavano soltanto all’interno dell’Inghilterra: una valuta, un mercato, molti attori.

   Gli inland bills non erano stati ideati per l’arbitraggio tra valute e mercati, ma erano il titolo perfetto per gli scopi dei tre partner nello Yorkshire. Packer consegnò a Fludyer, che gli doveva denaro per i tessuti che aveva acquistato, una lettera di cambio in cui gli chiedeva di saldare il debito pagando la somma a Floodshire, che aveva tinto le stoffe: gli inland bills erano l’obbligazione perfetta per saldare i debiti di tutte le parti della filiera.

   Ma fabbricanti e mercanti dovevano anche pagare i salari ai loro dipendenti, e la cosa era più difficile che pagare i rifornitori con lettere di cambio: i lavoratori, come i mercenari dell’Armata delle Fiandre, preferivano le monete o qualche cosa di analogo. Ancora una volta, gli imprenditori inglesi trovarono una via d’uscita con le lettere di cambio. Rowland Park, un uomo d’affari di Kirby, era una persona di molte risorse anche se con poca moneta sonante. Park pagava i salari ad alcuni dei suoi dipendenti con lettere di cambio indirizzate a un medico, un certo Loxam, che curava i lavoratori e le loro famiglie. Poi, per pagare Loxam, Park scriveva una lettera di cambio al distributore dei suoi prodotti, chiedendogli di pagare Loxam. Inland bills di questo tipo, per milioni di sterline, circolavano liberamente in Inghilterra, senza che nessuno le utilizzasse per fare arbitraggi tra valute e mercati ma unicamente per saldare debiti al posto della moneta di Zecca o delle banconote. Ma erano davvero moneta? All’inizio del XIX secolo non si era ancora raggiunto un consenso. Due banchieri, Henry Thornton e Thomas Tooke, sostenevano con ottimi argomenti che gli inland bills erano parte integrante della moneta inglese perché produttori, professionisti, commercianti e consumatori le usavano come mezzo di pagamento al posto delle monete di Zecca e delle banconote. E questo era un bene: più era vasta la base monetaria – monete, debito bancario e debito privato – più l’economia del Paese cresceva. Secondo Thornton e Tooke, gli inland bills erano moneta e come tale dovevano essere trattati.

   Gary Gorton ha seguito un approccio diverso. Voleva scoprire con l’evidenza dei fatti se gli inland bills fossero effettivamente moneta e, se sì, perché esattamente. Teoria basata su dati reali. Quindi Gary ha raccolto ed esaminato un campione di circa cinquecento inland bills emessi e circolati in Inghilterra tra il 1775 e il 1855, periodo nel quale chiunque sembrava usare questo peculiare titolo di debito. Nel 1775 gli inland bills rappresentavano circa il cinquantotto per cento dell’offerta totale di moneta del Paese e nel 1855 ne costituivano ancora circa il quaranta per cento. Quando passavano di mano in mano non perdevano valore e circolavano senza alcuno sconto: avevano il potere d’acquisto delle sovrane d’oro o delle banconote della Banca d’Inghilterra e circolavano bene.

   Visti da vicino, questi inland bills funzionano effettivamente come moneta: in Inghilterra, a quanto pare, i singoli potevano realmente creare moneta proprio come la Zecca o le banche. Fatto a dir poco insolito.

   Siamo stati abituati a considerare la capacità di creare moneta come una prerogativa della sovranità. Unica eccezione possono essere le banche, a cui è consentito creare moneta in base a speciali regolamenti e sotto il rigido controllo di Stati, governi, imperatori, e re. Eppure, nell’Inghilterra del XVIII e XIX secolo, una moltitudine di privati creava moneta con i propri inland bills. Ciò che rendeva possibile farlo era lo strumento usato: la lettera di cambio, in parte debito e in parte ordine di pagamento.

   Quando Samuel Fludyer dava a Packer una lettera di cambio chiedendogli di pagare Floodshire, egli riconosceva il proprio debito nei confronti di quest’ultimo e prometteva di pagarlo; quando Packer la accettava, anch’egli riconosceva di essere diventato debitore di Floodshire e prometteva di pagarlo. Ma il valore legale della moneta è assicurato dal potere dello Stato e quello del debito delle banche è supportato dalla promessa di scambiare la promessa con moneta di Zecca. Chi o cosa dava valore alle promesse di Fludyer e Floodshire? Chi tutelava le pretese di Packer?

    Fin dal primo Seicento, i tribunali inglesi avevano deciso che chi accettava una lettera di cambio era responsabile – in solido – del debito quanto chi la emetteva. In questo modo, il debito di Fludyer ora era diventato il debito di Floodshire e Fludyer, una garanzia più sicura per Packer. E se Packer – a sua volta – la accettava, i responsabili di tale obbligazione sarebbero diventati tre: quante più erano le firme, tanto maggiore era la probabilità che la lettera potesse convertirsi in monete d’oro alla sua scadenza. Tutti gli inland bills del campione esaminato da Gary Gorton, per esempio, erano stati firmati per accettazione da più di una persona e molti di essi addirittura da più di dieci.

   Era proprio questa accettazione esplicita e multipla a rendere la lettera di cambio equivalente a una banconota.

   Una banconota è la promessa di pagamento del banchiere, e questa promessa è coperta da tutti i debiti dei clienti del banchiere. Poiché gli inland bills erano di fatto debiti appoggiati e sostenuti da altri debiti, anch’essi erano parte della massa monetaria dell’Inghilterra. Questa è la conclusione raggiunta da Gary, sulla base di teoria ed evidenza empirica.

   La capacità dei singoli di creare moneta con gli inland bills ebbe un ruolo fondamentale nella Rivoluzione industriale in Inghilterra.
Solo quando i privilegi concessi alla Banca d’Inghilterra furono indeboliti e vennero allentate le restrizioni sull’attività bancaria, la moneta bancaria divenne la vera valuta della nazione e le lettere di cambio cessarono di essere una sua componente essenziale.

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