sabato 26 dicembre 2020

Le banche, da: "Che cosa è la Mafia", di Gaetano Mosca, 1900

Che cosa è la mafia

 

Gaetano Mosca


Libro pubblicato nell'anno 1900, cinque anni dopo che la "Tesoreria dello Stato" passò sotto la gestione da parte di Bankitalia...

Fonte: http://www.liberliber.it/

Gaetano Mosca (Palermo, 1º aprile 1858 – Roma, 8 novembre 1941) è stato un giurista, politologo e storico delle dottrine politiche italiane.

"Or ci fu in Italia un'epoca, ancora non molto remota, durante la quale l'ignoranza del pubblico nelle cose bancarie, un concetto allora prevalente fra governanti e governati, concetto che pur troppo non è ancora del tutto condannato, secondo il quale l'interesse pubblico corrisponderebbe alla somma di alcuni interessi privati, l'ignoranza ed anche una certa elasticità di senso morale di coloro ai quali incombeva il dovere d'impedire che le nostre Banche di emissione violassero la legge ed i loro statuti, fecero sí che in materia bancaria leggi e statuti fossero semi-clandestinamente e talora anche pubblicamente e quasi per sistema violati.

Fu cosí che venne ad esempio autorizzata una nuova emissione di carta moneta allo scoperto per sovvenire imprese e banche private pericolanti, che l'essere uomo politico, o la raccomandazione di un uomo politico, fu considerato titolo quasi legittimo per ottenere uno sconto piú largo dalle Banche di emissione, e che queste vennero perfino tacitamente autorizzate, se pur non furono incoraggiate, a giocare in borsa a pro del rialzo dei nostri titoli di Stato e di quelli delle nostre imprese, sovvenzionate, reputandosi che con ciò rendevano un servizio alla nostra economia nazionale.

L'imbroglione è come il diavolo, non gli si può dare un dito senza che vi acciuffi la mano con tutto il braccio e vi trascini seco all'inferno. Una volta che, col permesso o per ispirazione venuta dall'alto, si era in materia bancaria usciti dalla legalità, una volta che si erano permesse cose non pubblicamente confessabili, che il confine fra il lecito e l'illecito non fu piú nettamente segnato, diventò facile ad una coorte di faccendieri e concussionari, che avea i suoi rappresentanti fra gli uomini di affare, nelle stesse Banche, nelle amministrazioni locali e nel Parlamento, ordire a vantaggio proprio ed a danno degli istituti d'emissione, dello Stato e del pubblico una rete intricatissima di loschi affari: nei quali la semplice indelicatezza presto degenerò in falsi, in truffe, in altri reati contemplati dal codice penale.

Come quasi tutti gli altri istituti di emissione il Banco di Sicilia subí anch'esso il suo assalto; lo subí pesantemente verso il 1890 l'anno in cui, per ragioni ancora non ben chiarite, fu rimosso dalla sua direzione il Notarbartolo. Però questo attacco fu piú tardivo e piú timido di quelli analoghi che ebbero a soffrire la Banca nazionale ed il Banco di Napoli, o incontrò maggiori resistenze. Tanto vero che il Banco siculo rimase in condizioni relativamente buone ed è ancora il piú piccolo ma il piú solido dei nostri istituti di emissione.

Quando negli ultimi giorni del 1892 le rovine economiche e morali prodotte dagli errori e dalla debolezza dei nostri governanti cominciarono a svegliare il pubblico, quando gli uomini che da anni ed anni predicavano inascoltati contro la nostra politica bancaria, i professori Pantaleoni e De Viti de Marco, poterono fornire ai deputati Colaianni e Gavazzi la prova degli abusi e delle illegalità bancarie commesse coll'acquiescenza di alcuni dei nostri governanti, quando si capí che il carnevale dei furfanti accennava a finire e si parlò di conti da rendere, di inchieste amministrative e parlamentari da fare, allora i concussionari annidati nel Banco di Sicilia videro il pericolo e… pensarono ai modi opportuni per scongiurarlo.

A questo punto, ma a questo punto soltanto, il fenomeno delittuoso generale a tutto il paese assunse uno spiccato carattere regionale, la lebbra comune a tutta l'Italia si complicò in Palermo con una infezione locale. Notarbartolo era l'uomo competentissimo, energico, inesorabile coi disonesti, che avrebbe saputo e potuto illuminare l'opinione pubblica, che avrebbe ben guidato il braccio della giustizia contro i veri colpevoli, e questi… stabilirono di sopprimerlo.

L'atroce progetto poté in Sicilia essere concepito e maturato piú facilmente che nelle altre parti d'Italia, perché nell'isola, grazie allo spirito di mafia ed ai contatti fra le classi ricche e le cosche mafiose, l'idea della violenza sanguinaria piú facilmente si affaccia nelle coscienze torbide di quel che avverrebbe in Lombardia, in Piemonte, in Toscana, e l'omicidio non vi suscita quella ripugnanza assoluta, che altrove sarebbe sentita anche nella classe poco rispettabile dei concussionari e degli imbroglioni altolocati.

Aggiungo che a Palermo fu facile a qualcuno dei prevaricatori del Banco di Sicilia, mercé i rapporti intimi che aveva colle cosche mafiose, di trovare fra queste il sicario provetto, vero dottore nell'arte del misfare, che con audacia e sangue freddo incredibili, tutto calcolando e tutto prevedendo, seppe compiere la nefanda strage. E si sa che avere pronto ed efficace, alla portata della propria mano, lo strumento del male è grande tentazione a commetterlo.

Ma appena compiuto il misfatto e sparito il suo autore materiale, il fenomeno delittuoso perdette di nuovo il carattere locale e riacquistò quello nazionale.

No, non fu la mafia, come ancora molti l'immaginano, non fu una grande e misteriosa associazione di malfattori, che ha i suoi affiliati in tutte le classi sociali ed avvolge tutta la Sicilia nelle sue spire, ciò che impedí che gli assassini del Notarbartolo fossero scoperti e puniti; né fu, e non poteva essere, la mafia come realmente è, perché una cosca mafiosa non riesce a sviare il braccio della giustizia, quando questa vuole realmente colpire e distruggere un sodalizio criminoso che ha perpetrato un reato grave, di quelli che lasciano nel pubblico una impressione forte e duratura. E neppure quella specie di paralisi di cui nel caso Notarbartolo fu colpita la magistratura inquirente si può spiegare col fatto che nel reato poteva essere implicato un membro del Parlamento, che avea rapporti intimi con qualche poliziotto di second'ordine.

I buoni Milanesi che ora esterrefatti cercano la spiegazione di tante debolezze, di tante acquiescenze delle autorità di Palermo, se vogliono davvero capacitarsi del triste mistero, non occorre che guardino alla lontana Sicilia, basta che ricordino un altro processo svoltosi dalle origini alla fine molto vicino a loro, nel quale si è pure manifestata una lunga impotenza della polizia e della magistratura nel colpire persone alto locate implicate in truffe bancarie; basta che pongano mente alla lunga impunità di cui ebbe a godere Filippo Cavallini.

Questo arresto, o almeno questo incaglio che hanno subito le funzioni delle nostre autorità poliziesche e giudiziarie ogni volta che si è trattato di scoprire e punire un reato intimamente connesso a grossi abusi bancari, si spiega in una maniera identica per tutta l'Italia, e la spiegazione è grave ma semplice. Quella stessa serie di errori e di colpe che rese possibile fra noi lo spesseggiare dei reati bancari ne ha prodotto la semi-impunità. Essa è dovuta al fatto che attorno al circolo, relativamente scarso, dei veri concussionari vi è stato un circolo molto piú grande, nel quale è entrata buona parte del nostro mondo politico, ed i cui componenti consentirono che dalla legge si uscisse, che irregolarità fossero consumate, e, senza volerlo, senza quasi saperlo, furono avvolti in una specie di complicità coi concussionari, perché hanno con essi secreti comuni, che costituiscono il vincolo terribile per il quale sono costretti ad aiutarli.

Ed a Palermo attorno al piccolo gruppo di omicidi, che maturò e preparò l'assassinio del Notarbartolo, vi è stato il gruppo molto piú numeroso dei semplici truffatori, che dell'omicidio non furono neppure scienti al momento della sua perpetrazione, ma che legati agli assassini da rapporti inconfessabili, hanno dovuto in ogni modo aiutarli: ed attorno al gruppo abbastanza grosso dei truffatori vi è stato quello grossissimo dei tolleranti degli acquiescenti alle truffe, quel gruppo che in tutta Italia ha passivamente, ed anche attivamente, per quanto a malincuore, aiutato i ladri delle Banche..."
 

Nessun commento:

Posta un commento