venerdì 25 luglio 2025

Storia Monetaria ed Economica: Le Prospettive di Carlo Cipolla

Punti Rilevanti nella Storia Monetaria ed Economica: Le Prospettive di Carlo Cipolla

Sintesi

Questo rapporto sintetizza le profonde osservazioni del Professor Carlo Cipolla sull'evoluzione dei sistemi monetari, bancari e delle strutture economiche dalle antiche civiltà fino al Medioevo europeo. Basandosi sulla trascrizione di un'intervista del 1985, il rapporto evidenzia la natura ciclica della stabilità e del deprezzamento monetario, l'impatto profondo delle strutture politiche e sociali sull'attività economica e la continua innovazione negli strumenti finanziari guidata dalle mutevoli esigenze economiche. I temi chiave includono il passaggio da monete a "pieno valore" a quelle "fiduciarie", i motori fiscali e monetari dell'inflazione, il collasso e la rinascita delle economie di mercato e lo sviluppo di sofisticati meccanismi di credito come il sistema bancario a riserva frazionaria e le lettere di cambio. Tutto ciò si sviluppa sullo sfondo di vari gradi di controllo statale, fiducia sociale e rischio economico.

1. Introduzione: Contestualizzazione dei Contributi di Carlo Cipolla alla Storia Economica

Carlo Cipolla (1922-2000) è stato uno storico economico di fama mondiale, il cui lavoro ha illuminato le intricate connessioni tra fenomeni monetari, cambiamenti tecnologici e sviluppo sociale. Questo rapporto si basa su una trascrizione di un'intervista condotta nel 1985. Sebbene l'intervista non sia stata revisionata da Cipolla stesso, offre un accesso diretto alle sue prospettive su vari periodi storici, fornendo insegnamenti inestimabili sulla storia economica, nonostante la sua caratteristica umiltà nel dichiarare di non essere "un esperto" su alcuni argomenti.  

L'approccio di Cipolla enfatizza l'interazione dinamica di fattori economici, sociali e politici nel plasmare gli esiti storici, andando oltre la mera analisi quantitativa per esplorare il "perché" dietro i cambiamenti economici. Le sue osservazioni sfidano le convenzioni e forniscono una comprensione sfumata dell'evoluzione economica, in particolare nel contesto delle tendenze a lungo termine e della logica sottostante del comportamento economico storico. Questo rapporto esplorerà sistematicamente le osservazioni di Cipolla sulla genesi della coniazione e delle prime forme monetarie, le politiche monetarie e fiscali dell'Impero Romano (con confronti con i Parti), la contrazione economica e il feudalesimo nell'Europa occidentale altomedievale, la successiva rimonetizzazione e ripresa economica nel pieno Medioevo, e il complesso sviluppo dei sistemi bancari e di credito, dalle loro radici antiche alle innovazioni medievali, inclusa la finanza pubblica e l'emergere del debito pubblico. Per tutto il rapporto, verrà evidenziata l'interrelazione tra politica monetaria, condizioni economiche e strutture sociali, dimostrando come questi elementi si siano co-evoluti e influenzati a vicenda.

2. La Genesi della Moneta: Dalle Antiche Monete al Monometallismo Carolingio

Questa sezione esplora le origini fondamentali della coniazione e le diverse forme dei primi sistemi monetari, confrontando la presenza e le caratteristiche delle monete in diverse civiltà antiche con la loro assenza in altre, e culminando nel primitivo sistema monetario dell'Europa occidentale altomedievale.

Le prime monete emersero in Asia Minore, in particolare in Lidia, tra il VI e il VII secolo a.C.. Inizialmente realizzate in argento, furono successivamente prodotte in elettro, una lega naturale di oro e argento. È interessante notare che le prime monete in elettro avevano lo stesso valore indipendentemente dalle proporzioni variabili di oro e argento, poiché le tecniche per valutarne la lega non erano ancora state sviluppate. L'uso primario iniziale di queste monete lidie era il pagamento dei mercenari. La teoria suggerisce che la necessità di un pagamento standardizzato e portatile per i servizi militari fu un fattore chiave per la loro adozione. La successiva spesa da parte dei mercenari facilitò poi l'integrazione delle monete nel commercio comune. La coniazione greca, in particolare la dracma ateniese, fiorì in seguito, ottenendo un'ampia circolazione nel Mediterraneo.  

Per quanto riguarda il concetto di monete a "pieno valore" rispetto a quelle "fiduciarie", le monete lidie e greche erano considerate a "pieno valore", il che significa che il loro valore nominale era equivalente al loro valore metallico intrinseco. Nel contesto romano, la teoria prevalente è che le monete fossero emesse dallo stato esclusivamente per le esigenze dello stato, con il metallo proveniente dalle miniere di proprietà statale. Questo contrasta nettamente con il Medioevo, dove il mercato giocava un ruolo più significativo, con gli individui che portavano attivamente i lingotti alla zecca per la coniazione.  

Un'osservazione importante riguarda l'assenza di coniazione nell'antico Egitto e in Sumeria. Prima che i Tolomei introducessero la coniazione, l'antico Egitto operava senza monete standardizzate, basandosi principalmente sul baratto e sullo scambio di pezzi di metallo non marcati. Le tasse governative erano frequentemente pagate in natura. Similmente, i Sumeri non possedevano monete, poiché la loro civiltà precedette l'invenzione della coniazione. L'affermazione di Cipolla che gli antichi Egizi "semplicemente non le avevano inventate" e continuavano a "fare le cose a modo loro tradizionale, senza monete" è fondamentale. Se si considera che l'economia egizia era "pianificata centralmente, molto centralizzata" e "tutta la terra era di proprietà dell'autorità centrale" , e le tasse erano pagate "in natura" , emerge un modello più profondo. L'assenza di coniazione in un'economia così complessa, eppure centralmente controllata, suggerisce che la necessità o la pressione evolutiva per un mezzo di scambio universale potrebbe essere stata significativamente ridotta. Se lo stato controllava direttamente la produzione, la distribuzione e la tassazione attraverso meccanismi in natura, la necessità di un sistema monetario liquido e standardizzato per le transazioni di mercato decentralizzate era meno pronunciata. Ciò evidenzia che lo sviluppo di sofisticati sistemi monetari non è solo una progressione lineare di invenzioni tecnologiche, ma è profondamente intrecciato con l'organizzazione economica prevalente e il grado di decentralizzazione del mercato. Le economie a comando centralizzato possono avere una spinta intrinseca minore all'innovazione monetaria rispetto alle economie guidate da un commercio diffuso e decentralizzato.  

La riforma monetaria carolingia nell'Europa occidentale dell'VIII secolo introdusse il monometallismo argenteo, il che significava che veniva coniata una sola moneta, il denaro, in argento. La libbra e lo scellino esistevano solo come unità di conto, non come monete fisiche. Questo sistema era caratterizzato come molto primitivo, con una circolazione estremamente limitata e una bassa liquidità. La popolazione era riluttante ad accettare monete perché non potevano essere facilmente utilizzate per acquistare beni in un'economia di mercato in gran parte collassata. Cipolla afferma esplicitamente: "Non sto dicendo che perché il sistema di mercato è crollato, il sistema monetario è diventato primitivo, né sto dicendo che perché il sistema monetario è diventato primitivo il mercato ha cessato di funzionare. Penso che sia stato reciproco". Questa è una relazione causale critica. Una significativa contrazione dell'attività di mercato riduce l'utilità e la domanda di moneta, portando a un sistema monetario più semplice e meno liquido. A sua volta, un sistema monetario primitivo e illiquido (ad esempio, una singola moneta di basso valore con accettazione limitata) ostacola attivamente la riemersione e l'espansione delle transazioni di mercato. Ciò crea un potente ciclo di feedback negativo, intrappolando l'economia in uno stato di bassa monetizzazione e scambio limitato. Questo sottolinea che i sistemi monetari non sono riflessi passivi dell'attività economica, ma sono determinanti attivi della sua complessità e portata. Un sistema monetario robusto e liquido è un prerequisito fondamentale per un'attività di mercato complessa e diffusa, e la sua assenza può attivamente soffocare lo sviluppo economico e perpetuare la stagnazione.  

3. Dinamiche Monetarie e Fiscali dell'Impero Romano

Questa sezione approfondisce la storia monetaria dell'Impero Romano, caratterizzata da periodi di stabilità e deprezzamento, esplorando le pressioni fiscali che hanno guidato l'inflazione, la natura unica della finanza pubblica romana e l'impatto degli afflussi di metalli preziosi. Vengono inoltre messe a confronto le pratiche romane con quelle dei Parti.

Il denario, la principale moneta d'argento romana, subì un progressivo deprezzamento dagli ultimi secoli della Repubblica fino al IV secolo d.C.. Tuttavia, i primi due secoli dell'era cristiana (da Augusto a Marco Aurelio, circa 150-160 d.C.) furono un'epoca di notevole stabilità monetaria. Questa stabilità è principalmente evidenziata dal contenuto metallico costante (purezza e peso) del denario d'argento, con solo minime diminuzioni osservate dai numismatici. Le quotazioni dirette dei prezzi di questo periodo sono scarse, con la maggior parte dei dati sopravvissuti provenienti dall'Egitto. Cipolla avverte che queste informazioni sono distorte a causa delle caratteristiche economiche uniche dell'Egitto, tra cui un'eccessiva offerta di grano e fonti d'oro, che portarono a una bilancia dei pagamenti favorevole. L'esplicito avvertimento di Cipolla contro la generalizzazione dei dati sui prezzi egiziani evidenzia una sfida metodologica fondamentale nella storia economica. Mentre le prove numismatiche forniscono una misura quantitativa del deprezzamento (cambiamenti nel contenuto metallico delle monete), correlare direttamente questo ai livelli dei prezzi in tutto l'Impero è problematico a causa della scarsità e del pregiudizio geografico dei registri diretti dei prezzi. Ciò implica che la nostra comprensione dell'inflazione romana è spesso inferita dal lato dell'offerta di moneta (deprezzamento) piuttosto che da osservazioni dirette e complete dei movimenti dei prezzi. La mancanza di dati diretti e diffusi sui prezzi limita la capacità di comprendere appieno l'impatto economico reale dei cambiamenti monetari. Ciò sottolinea l'importanza critica della critica delle fonti nella ricerca storica economica. Dimostra che i dati quantitativi, sebbene preziosi, devono essere interpretati all'interno del loro specifico contesto storico e geografico, e che l'assenza di determinati tipi di dati (come serie complete di prezzi) può limitare significativamente la portata dell'analisi economica storica.  

Verso la fine del II secolo e per tutto il III secolo d.C., l'Impero Romano conobbe una notevole inflazione e un significativo deterioramento delle monete, che comportò una riduzione del contenuto di argento. L'ipotesi principale per questa inflazione indica la crescente spesa dell'amministrazione governativa romana rispetto alle sue entrate. I principali motori di questa crescente spesa includevano: l'aumento dei costi dell'esercito (espansione da 300.000 a 600.000 soldati con una paga sproporzionatamente più alta), una burocrazia in crescita e lo sviluppo di un rudimentale "stato sociale". Questo "welfare" includeva la distribuzione gratuita di cibo (simile ai buoni pasto) a Roma, e servizi scolastici e medici pubblici nelle principali città come Marsiglia, Lione e Milano. Anche le opere pubbliche, come i circhi e i bagni pubblici, contribuirono a questi costi. Il meccanismo di deprezzamento, sebbene non del tutto chiaro, si teorizza che coinvolgesse il governo, proprietario di miniere, che ricavava una maggiore quantità di monete da una data quantità di metallo semplicemente producendo monete con meno metallo. Questo processo era più semplice rispetto ai metodi medievali. Un elemento di inganno era spesso presente, poiché le monete di rame deprezzate venivano lavate in argento per mantenerne l'aspetto. Il governo romano non ebbe mai un debito pubblico, affidandosi invece alle tasse fondiarie e all'emissione di monete per le sue operazioni finanziarie. L'Impero era in gran parte un'area di libero scambio interno, con tasse doganali minime, ad eccezione dell'Egitto, che era un dominio diretto dell'Imperatore con relazioni commerciali peculiari. L'osservazione di Cipolla che il governo romano "non ebbe mai un debito pubblico" ma ricorse al deprezzamento a causa delle spese che superavano le entrate fiscali offre una profonda comprensione della politica fiscale antica. Producendo "monete con meno metallo" , lo stato imponeva di fatto una "tassa sull'inflazione" sui suoi cittadini e creditori. Poteva adempiere ai suoi obblighi nominali (ad esempio, pagare i soldati) con una valuta svalutata, estraendo così risorse reali senza contrarre esplicitamente prestiti o aumentare le tasse dirette. L'"elemento di inganno" nel lavare le monete deprezzate suggerisce ulteriormente un tentativo deliberato di mascherare questa tassazione implicita. Questo meccanismo consentiva allo stato di mantenere un'apparenza di solvibilità fiscale pur erodendo il valore reale della sua valuta. Ciò dimostra un modello storico in cui gli stati, in particolare quelli senza accesso a mercati sviluppati del debito pubblico, utilizzano il deprezzamento monetario come forma alternativa, sebbene spesso economicamente distruttiva, di finanziamento. Evidenzia la tensione intrinseca e perenne tra le esigenze fiscali di uno stato (specialmente in tempi di guerra o di espansione amministrativa) e il suo impegno a mantenere l'integrità monetaria.  

All'inizio del IV secolo, Diocleziano tentò un editto di fissazione dei prezzi in tutto l'Impero, che fallì, ma attuò anche una riforma monetaria che ebbe un certo successo. Roma generalmente monopolizzò l'emissione di monete attraverso le zecche imperiali, portando alla cessazione della coniazione greca dopo la conquista. Tuttavia, emise "monete coloniali" nei territori conquistati (ad esempio, la Grecia) che rispettavano gli standard locali (come la Dracma) in termini di dimensioni, pur recando simboli romani, con un tasso di cambio stabilito.  

Le monete partiche, inizialmente di fattura greca, furono deprezzate molto più rapidamente delle monete romane. A differenza di Roma, la Partia emise solo monete d'argento e di rame, mai d'oro. Esisteva una significativa dicotomia: Roma mantenne la stabilità della valuta aurea anche mentre la sua valuta d'argento veniva deprezzata, un modello che cambiò solo con l'introduzione del solido da parte di Costantino il Grande. Le ragioni di questa stabilità dell'oro potrebbero essere state il suo utilizzo nel commercio internazionale o la sua rappresentazione simbolica dell'Impero. La politica romana di mantenere la stabilità della valuta aurea mentre svalutava l'argento non è solo un fatto descrittivo, ma suggerisce una proprietà strategica o emergente del loro sistema bimetallico. L'oro, essendo un metallo di valore più elevato e accettato a livello internazionale, probabilmente fungeva da principale riserva di valore e mezzo per transazioni su larga scala o internazionali. L'argento, utilizzato per scambi domestici più comuni, poteva quindi assorbire le pressioni inflazionistiche derivanti dalle esigenze fiscali senza compromettere completamente la credibilità dell'intero sistema monetario, specialmente per il commercio esterno. Ciò creò efficacemente un sistema a due livelli in cui la "buona moneta" (oro) era preservata per funzioni critiche, mentre la "cattiva moneta" (argento) assorbiva gli shock delle pressioni fiscali interne. Cipolla osserva che questo modello si ripeté nel Medioevo. Ciò illustra come i sistemi monetari bimetallici, nonostante le loro intrinseche complessità (ad esempio, la gestione dei valori relativi di due metalli), potessero offrire un certo grado di resilienza e flessibilità. Permettevano agli stati di gestire le pressioni fiscali interne attraverso il deprezzamento di un metallo, preservando potenzialmente la stabilità e l'accettazione internazionale di un altro, servendo così contemporaneamente diverse funzioni economiche.  

Le guerre di conquista portarono enormi afflussi di oro e argento da aree ricche come il Medio Oriente (Siria, Palestina, Grecia) e l'Egitto. Questi tesori furono apparentemente monetizzati, portando ad un aumento della liquidità, a prezzi elevati dei terreni e a bassi tassi di interesse nel I secolo d.C. e nel I secolo a.C. (ad esempio, durante il periodo di Cesare). Al contrario, una scarsità di liquidità avrebbe reso necessarie le vendite di terreni, deprimendo i valori dei terreni e aumentando i tassi di interesse. Il confronto di Cipolla tra gli afflussi di metalli preziosi romani e la situazione spagnola in America è fondamentale. Sebbene entrambi abbiano sperimentato afflussi immensi, l'impatto differiva. A Roma, gli afflussi portarono a liquidità e boom dei prezzi degli asset. In Spagna, nonostante l'argento dalle Americhe, il cronico indebitamento statale portò a titoli di stato ad alto rendimento, che deviarono il capitale e, si potrebbe sostenere, ostacolarono gli investimenti produttivi. Ciò suggerisce che l'esito economico degli afflussi di metalli preziosi non è determinato unicamente dalla loro quantità, ma in modo critico dalla salute fiscale sottostante, dal quadro istituzionale e dalla struttura finanziaria dell'economia ricevente. Uno stato fiscalmente irresponsabile può sperperare anche immense ricchezze, portando a conseguenze economiche diverse rispetto a uno più disciplinato fiscalmente. Ciò prefigura il fenomeno della "maledizione delle risorse", in cui l'abbondanza di risorse naturali può paradossalmente ostacolare lo sviluppo economico a lungo termine se consente la prodigalità fiscale, la ricerca di rendite o la negligenza dei settori produttivi, piuttosto che favorire una crescita sostenibile e una sana gestione finanziaria.  

4. La Contrazione Economica dell'Europa Occidentale: L'Era Feudale e l'Economia di Baratto (VII-X Secolo)

Questa sezione descrive il profondo collasso economico nell'Europa occidentale dopo la caduta di Roma, caratterizzato dal crollo dei sistemi di mercato, dal predominio di manieri feudali autarchici e dal ruolo limitato di un primitivo sistema monetario, contrapponendo questo alle economie più vivaci dei mondi bizantino e musulmano.

Tra il VII e il X secolo, l'Europa occidentale conobbe un profondo collasso dei suoi sistemi di mercato e monetari. Questo periodo vide l'Europa occidentale diventare un "paese sottosviluppato" secondo gli standard dell'epoca, considerato "barbaro" e "privo di interesse" dagli imperi bizantino e arabo più avanzati. Cipolla sottolinea una relazione reciproca: man mano che il sistema di mercato crollava, il sistema monetario diventava primitivo, e contemporaneamente, man mano che il sistema monetario diventava primitivo, il mercato cessava di funzionare efficacemente.  

Le caratteristiche dell'economia feudale erano distinte. L'autarchia dominava, con il maniero che emergeva come unità economica predominante, operando come un'entità in gran parte autosufficiente (autarchica), gestendo circa l'85-90% delle proprie attività. Questa struttura favoriva uno scarso interesse per lo sviluppo o l'accumulazione di capitale, e le condizioni erano estremamente insicure a causa del diffuso signoraggio militare. Con la scomparsa dei mercati funzionali, le transazioni tornarono in gran parte agli scambi in natura. Esempi includono le abbazie tedesche che acquisivano terre per produrre il proprio vino anziché acquistarlo, i fabbri che ricevevano polli e uova per i servizi e i medici che venivano pagati in grano o maiali. Gli abitanti dei villaggi erano tipicamente obbligati a dare al Signore del Maniero tra un terzo e la metà del loro raccolto, insieme a beni aggiuntivi come pollame, e un numero specificato di giorni di servizio lavorativo a settimana o all'anno.  

L'economia tra il VII e l'XI secolo era notevolmente caratterizzata da diffusi furti e scambi di doni, una conseguenza diretta dell'assenza di un mercato e di transazioni multilaterali. Se si desiderava qualcosa, spesso lo si chiedeva come un dono, con l'implicita intesa di una reciprocità di doni di valore uguale o maggiore. La mancata reciprocità avrebbe portato alla cessazione di futuri scambi di doni. I trasferimenti dai contadini ai Signori e dai Signori al Re erano in gran parte unilaterali, mentre gli scambi tra pari avvenivano tramite furto o scambi di doni, il tutto senza l'uso della moneta. La descrizione dettagliata di Cipolla del dare e ricevere doni come meccanismo economico pervasivo ("Se volevi qualcosa, la chiedevi come dono. E la supposizione era che avresti restituito un dono di valore uguale o maggiore") rivela più di una semplice pratica culturale. In un ambiente privo di mercati robusti, valuta fidata e applicazione legale formale per i contratti, il dare e ricevere doni funzionava come un sistema di scambio reciproco socialmente imposto. Questo sistema era cruciale per costruire e mantenere il capitale sociale (fiducia, relazioni), che divenne il principale lubrificante per l'interazione economica quando le istituzioni formali erano assenti. Le "regole dello scambio del dono" fungevano da forma primitiva ma efficace di applicazione contrattuale, basandosi sulla reputazione sociale e sull'aspettativa di accesso futuro a beni e servizi. Ciò evidenzia l'adattabilità del comportamento economico umano a vincoli istituzionali estremi. Ciò dimostra come i meccanismi sociali informali possano fungere da sostituti funzionali delle istituzioni economiche formali (mercati, denaro, legge) durante periodi di profondo collasso economico. Sottolinea la fondamentale necessità umana di scambio e i modi ingegnosi, sebbene spesso inefficienti, in cui le società si adattano per facilitarlo quando i mezzi convenzionali non sono disponibili. Questo sistema, tuttavia, comportava costi di transazione impliciti elevati rispetto a un mercato monetarizzato.  

Il ruolo della coniazione era limitato. Il sistema monetario era estremamente primitivo, con una sola moneta, il denaro d'argento, che veniva coniata. La libbra e lo scellino rimanevano semplici unità di conto. La circolazione delle monete era estremamente limitata, e queste monete non possedevano una liquidità maggiore di altri beni fisici come cavalli o armi. La gente aveva poca domanda di denaro se non poteva usarlo in modo affidabile per acquistare beni in un mercato disfunzionale. I tesori scoperti di questo periodo contengono pochissime monete, con i metalli preziosi più comunemente conservati come vasi o oggetti ecclesiastici che potevano essere facilmente fusi in monete se necessario. Le monete erano principalmente riservate a transazioni a lunga distanza poco frequenti. L'osservazione di Cipolla che "le monete non erano usate come riserva di valore" e "non avevano maggiore liquidità di qualsiasi altro bene" sfida direttamente le moderne ipotesi sulle funzioni intrinseche del denaro. In un mercato in cui beni e servizi sono scarsi e imprevedibili, la funzione di  

mezzo di scambio del denaro è gravemente compromessa. Se non si può convertire in modo affidabile il denaro in beni desiderati, la sua utilità come riserva di valore diminuisce significativamente. Di conseguenza, altri beni tangibili (come vasi o oggetti ecclesiastici) che possiedono un valore d'uso intrinseco o possono essere facilmente convertiti in forme utili (ad esempio, fusi per altri scopi) diventano preferibili come riserva di ricchezza. Ciò illustra che il valore e la liquidità del denaro non sono proprietà intrinseche, ma dipendono profondamente dall'integrità funzionale e dalla prevedibilità dell'economia di mercato che esso serve. Ciò sottolinea che il denaro è fondamentalmente una convenzione sociale la cui utilità deriva e dipende da un sistema economico funzionante. Quando i mercati falliscono o diventano altamente imprevedibili, il denaro stesso perde le sue funzioni primarie, tornando al suo valore materiale intrinseco (se presente), e altre forme di ricchezza, meno liquide, diventano più desiderabili.

In netto contrasto con l'Europa occidentale, che era in gran parte isolata e sottosviluppata, l'Impero Bizantino e le aree controllate dai musulmani (come la Spagna e la Sicilia) mantennero un commercio attivo e sistemi monetari vivaci. Queste regioni continuarono a utilizzare la valuta aurea e i loro mercati fiorirono, evidenziando una netta divergenza economica nell'ex mondo romano. I geografi musulmani dell'epoca ignoravano in gran parte l'Europa occidentale, considerandola un "territorio di boscimani".  

5. La Rinascita delle Economie Monetarie nell'Alto Medioevo (Dopo il 950 d.C.)

Questa sezione narra la significativa ripresa economica nell'Europa occidentale dopo il 950 d.C., caratterizzata da crescita demografica e produttiva, maggiore monetizzazione, fioritura delle zecche e il ruolo in evoluzione del commercio e delle innovazioni finanziarie nel ristabilire un'economia di mercato più complessa.

Dopo il 950 d.C., l'Europa occidentale conobbe una significativa ripresa della sua economia monetaria, in particolare nel continente, con l'Inghilterra che rimase un po' indietro fino al 1450 circa. Questo periodo fu caratterizzato da un aumento della popolazione e della produzione, con la produzione che cresceva a un ritmo più rapido della popolazione, portando a un notevole aumento del reddito pro capite. La domanda di moneta aumentò ancora più significativamente della produzione, spinta da un crescente grado di monetizzazione: una maggiore proporzione di transazioni iniziò a essere condotta utilizzando la valuta, allontanandosi dal baratto o dallo scambio di doni.  

L'aumento della domanda di valuta portò direttamente a una fioritura delle zecche e a un sostanziale aumento del volume di monete emesse. Anche l'attività mineraria conobbe un significativo impulso, specialmente per l'argento nella Germania centrale e in Boemia. La crescente domanda di argento probabilmente aumentò il suo prezzo rispetto ad altre merci e servizi (ad esempio, il lavoro), il che a sua volta stimolò la prospezione e le operazioni minerarie. Nonostante questa maggiore produzione, essa fu spesso insufficiente a soddisfare la crescente domanda, portando al progressivo deprezzamento del denaro a velocità diverse in tutta Europa, in particolare nelle città-stato italiane in via di sviluppo. Cipolla distingue esplicitamente le motivazioni del deprezzamento in questo periodo da quelle dell'era romana. Afferma che il deprezzamento nelle città-stato italiane era "guidato più da ragioni monetarie (per aumentare l'offerta di valuta) che fiscali, con l'obiettivo di prevenire la caduta dei prezzi". Questa è una distinzione cruciale. In un'economia in rapida crescita con crescente monetizzazione, se l'offerta di metalli preziosi (e quindi di monete) non tiene il passo con la crescente domanda di transazioni, può verificarsi deflazione o una grave carenza di valuta, soffocando l'attività economica. Il deprezzamento, creando più unità nominali di valuta dalla stessa quantità di metallo, aumentava di fatto l'offerta di moneta, stimolando così il commercio e prevenendo le pressioni deflazionistiche. Ciò indica una forma pragmatica, sebbene grezza, di politica monetaria volta a facilitare l'espansione economica. Questo sfida la visione semplicistica del deprezzamento come mero segno di debolezza fiscale o disonestà statale. Rivela che il deprezzamento poteva anche essere uno strumento deliberato, seppur imperfetto, per gestire l'offerta di moneta in un'economia in crescita, in particolare in assenza di sofisticati meccanismi di banca centrale o di valuta fiat. Rappresenta un'evoluzione nella comprensione e nell'applicazione della politica monetaria, passando da una tassa principalmente nascosta a uno strumento per la gestione della liquidità e la stimolazione economica.  

Il ruolo delle fiere e del commercio a lunga distanza si evolse. Le fiere giocarono un ruolo sempre più cruciale nell'economia in ripresa: le fiere settimanali rimasero principalmente locali e spesso prevedevano il baratto; le fiere mensili attiravano partecipanti da distanze maggiori, dove le monete erano usate più frequentemente; e le fiere annuali erano raduni ancora più grandi. In queste fiere più grandi, le transazioni venivano registrate da notai (o "ufficiali della fiera), e solo le differenze tra debiti e crediti accumulati venivano saldate in moneta, riducendo significativamente la necessità per i mercanti di trasportare grandi quantità di valuta fisica. Il commercio a lunga distanza, che aveva raggiunto un livello molto basso tra il VII e il X secolo, iniziò a riprendersi vigorosamente. La crescita delle città dopo il X secolo contribuì anche allo sviluppo di mercati giornalieri, un cambiamento fondamentale rispetto al precedente sistema di fiere infrequenti e su larga scala. La descrizione di Cipolla delle fiere dove "solo le differenze vengono pagate in moneta" è un elemento chiave nell'innovazione finanziaria precoce. Questo meccanismo, gestito da notai o funzionari, creò efficacemente una forma rudimentale di  

stanza di compensazione. Compensando crediti e debiti tra più mercanti, ridusse drasticamente la necessità di valuta fisica nelle transazioni su larga scala, mitigando così i rischi e i costi associati al trasporto di grandi somme di denaro. La successiva evoluzione dalle fiere di Champagne alle più sofisticate fiere di Ginevra e Lione , combinata con l'emergere della lettera di cambio, dimostra una chiara progressione dalla compensazione localizzata e fisicamente presente a centri finanziari più avanzati, basati su carta e geograficamente dispersi. Ciò illustra lo sviluppo organico delle infrastrutture finanziarie in risposta a esigenze economiche pratiche (ridurre i costi di transazione, migliorare l'efficienza, mitigare il rischio). Mostra come istituzioni informali o semi-formali (come i notai nelle fiere) possano gettare le basi per strumenti e mercati finanziari più complessi, dimostrando un processo continuo di adattamento istituzionale per facilitare il commercio.  

Nuove rotte di navigazione e connessioni globali emersero. Lo sviluppo della lettera di cambio (dal XIII secolo in poi) facilitò ulteriormente il commercio a lunga distanza, evitando il pericoloso trasferimento fisico di valuta. L'apertura di rotte marittime dirette dall'Italia alle Fiandre e all'Inghilterra negli anni 1280, resa possibile dal miglioramento della tecnologia delle galee, contribuì significativamente al declino delle fiere terrestri come quelle della Champagne, che soffrirono di guerre, interferenze reali francesi e nuove efficienze di navigazione. Questa nuova tecnologia di navigazione portò anche paesi precedentemente periferici come il Portogallo nel flusso principale dello sviluppo economico, consentendo loro di accedere direttamente a nuove fonti d'oro dall'Africa occidentale, bypassando le tradizionali e più costose rotte carovaniere attraverso il Nord Africa. Lo sviluppo di "galee migliori" e nuove "tecniche di navigazione" è presentato come una causa diretta del declino delle fiere commerciali terrestri consolidate e dell'ascesa di rotte marittime più efficienti. Questo progresso tecnologico ha alterato fondamentalmente la  

geografia del commercio, rendendo il trasporto marittimo più conveniente e sicuro rispetto alle rotte terrestri afflitte dall'insicurezza. Inoltre, la capacità del Portogallo di accedere direttamente all'oro dell'Africa occidentale ha avuto un impatto monetario significativo, spostando potenzialmente la fonte primaria dell'offerta d'oro europea e influenzando l'equilibrio bimetallico delle valute in tutto il continente. Ciò illustra come le innovazioni tecnologiche non monetarie possano avere effetti profondi e di vasta portata sui modelli commerciali globali e sui sistemi monetari. Ciò evidenzia l'impatto profondo, spesso dirompente, dell'innovazione tecnologica sull'organizzazione economica, sulle rotte commerciali e persino sul flusso globale e sull'approvvigionamento di metalli preziosi. Dimostra come i progressi in un settore (ad esempio, la costruzione navale) possano innescare cambiamenti a cascata nell'intero panorama economico e monetario.  

6. L'Evoluzione dei Sistemi Bancari e di Credito

Questa sezione traccia le origini e lo sviluppo del sistema bancario dalle pratiche antiche ai sofisticati mercanti-banchieri del Medioevo, descrivendo l'emergere del sistema bancario a riserva frazionaria, la creazione di moneta e i servizi fondamentali che hanno plasmato la finanza moderna.

Nell'antica Grecia, le funzioni bancarie rudimentali erano svolte da banchieri, cambiavalute e templi. I templi, in particolare, fornivano prestiti, a volte mantenendo un tasso di interesse fisso e impiegando un sistema di code quando i fondi erano scarsi. Anche Roma aveva banchieri e cambiavalute, sebbene non "banche" formalizzate come istituzioni. Questi individui concedevano prestiti per vari scopi, inclusi consumi, acquisti di terre e spese sontuose da parte dei ricchi. Riferimenti nelle lettere di Cicerone suggeriscono che i pagamenti potevano essere effettuati tramite banchieri su istruzione, implicando un sistema di depositi. Nonostante l'esplicita affermazione che Roma non avesse "banche, ma avesse banchieri" , la descrizione di Cipolla delle loro attività – accettare depositi, concedere prestiti e facilitare i trasferimenti – indica che le  

funzioni bancarie erano ben consolidate molto prima dell'emergere di istituzioni bancarie formali. Il "fare la coda invece dei prezzi" per i prestiti nei templi greci dimostra ulteriormente i primi, sebbene informali, metodi di allocazione del credito. Ciò suggerisce che le esigenze fondamentali dell'intermediazione finanziaria (fornitura di liquidità, facilitazione dei pagamenti, allocazione del credito) sono perenni e le società sviluppano meccanismi per affrontarle, indipendentemente dalla formalità istituzionale. Ciò sottolinea che l'innovazione finanziaria spesso comporta la formalizzazione, l'ampliamento e l'istituzionalizzazione di pratiche informali esistenti. L'evoluzione del sistema bancario è un processo continuo guidato dalla crescente complessità economica e dalla persistente necessità di servizi finanziari più efficienti e affidabili.  

Le origini del sistema bancario medievale si svilupparono da tre fonti distinte, sebbene a volte sovrapposte: i prestatori su pegno, i cambiavalute e i mercanti. I prestatori su pegno erano tipicamente piccoli prestatori che si dedicavano principalmente a prestiti al consumo ad alto rischio, spesso caratterizzati da tassi di interesse elevati. Rimasero in gran parte a questo livello di base ed erano generalmente malvisti all'interno della comunità. Entro il XII secolo, i cambiavalute divennero importanti nei mercati avanzati. Mantennero significativi inventari di monete, operavano da "banchi" (tavoli) e usavano bilance per pesare e valutare le monete. Fondamentale, servirono come i principali fornitori della zecca, portando lingotti o vecchie monete quando la zecca offriva prezzi attraenti. I cambiavalute spesso formarono influenti corporazioni in città come Firenze, indicando il loro status economico rispettabile e vitale. Nel Medioevo, il termine "mercante" (mercato) comprendeva un ruolo sfaccettato: un commerciante, un produttore (che operava attraverso il sistema del "putting-out") e un banchiere. Questi mercanti-banchieri concedevano prestiti ad altri mercanti e, in modo significativo, a figure potenti come i principi (ad esempio, i prestiti al re d'Inghilterra erano spesso fatti per assicurare privilegi per l'esportazione di materie prime come la lana), operando a livello internazionale.  

Dal XIII secolo, i mercanti iniziarono a formare compagnie (corporazioni), che strutturavano il capitale in due modi distinti: corpo de compagie e fore corpo. Il  

corpo de compagie rappresentava il capitale principale, tipicamente raccolto da parenti, con i partecipanti che condividevano direttamente i profitti e le perdite dell'azienda. Il  

fore corpo consisteva in depositi da parte di non-parenti, che ricevevano un tasso di interesse fisso e non condividevano i rischi o le perdite dell'azienda. Queste compagnie si impegnarono nel sistema bancario a riserva frazionaria, prestando una parte dei loro depositi anziché mantenerli al 100% in riserva, creando così attivamente moneta all'interno dell'economia.  

I primi banchieri offrivano servizi fondamentali tra cui l'accettazione di depositi, la concessione di prestiti (a mercanti, principi e persone locali) e la facilitazione dei trasferimenti di fondi tra conti. Inizialmente, in luoghi come Venezia (fino al XVI secolo) e Firenze (fino al XIV secolo), i trasferimenti richiedevano la presenza fisica di entrambe le parti coinvolte presso il registro del banchiere, che serviva come prova legale. Tuttavia, nella Firenze del XIV secolo, questo metodo ingombrante fu gradualmente sostituito dagli ordini scritti, segnando l'origine del moderno assegno. Questo cambiamento cruciale si basò esplicitamente su un aumento del livello di fiducia all'interno della comunità commerciale fiorentina. L'osservazione di Cipolla che il passaggio dal requisito della presenza fisica per i trasferimenti all'accettazione di "ordini scritti" a Firenze avvenne "sulla base della fiducia" è una profonda comprensione. Ciò evidenzia che l'innovazione finanziaria non è solo un prodotto del progresso tecnologico o della riforma legale; è profondamente dipendente dal livello prevalente di fiducia sociale e commerciale all'interno di una comunità. A Firenze, un grado più elevato di fiducia permise l'emergere di un metodo di pagamento meno fisicamente restrittivo e più efficiente (l'assegno), mentre Venezia, con una dinamica sociale forse diversa, mantenne il sistema più ingombrante per un periodo più lungo. Ciò dimostra come la fiducia riduca i costi di transazione e faciliti l'adozione di forme di scambio più astratte e meno tangibili fisicamente. Ciò illustra che lo sviluppo di sistemi finanziari sofisticati è profondamente radicato nel tessuto sociale. Un ambiente ad alta fiducia può accelerare l'innovazione finanziaria, consentendo forme di interazione economica più efficienti e meno vincolate fisicamente. Al contrario, un ambiente a bassa fiducia può ostacolare tali sviluppi, costringendo a fare affidamento su metodi più ingombranti e verificabili, ma meno efficienti.  

7. Innovazioni Finanziarie e Sfide: Lettere di Cambio e Fallimenti Bancari

Questa sezione esamina gli strumenti finanziari sofisticati emersi nel tardo Medioevo, in particolare la lettera di cambio, insieme ai rischi intrinseci del sistema bancario primitivo, inclusi i frequenti fallimenti, le corse agli sportelli e l'assenza di garanzie istituzionali.

Le pratiche bancarie e le sfide nel Medioevo europeo sono ben documentate. Inizialmente, sia a Firenze che a Venezia, il trasferimento di depositi presso banchieri o cambiavalute richiedeva la presenza fisica di tutte le parti coinvolte. Il banchiere registrava il trasferimento in un registro, che serviva da prova in tribunale. Tuttavia, Firenze iniziò ad adottare un sistema più avanzato nel XIV secolo, consentendo trasferimenti tramite ordini scritti (l'origine dell'assegno), basati sulla fiducia. Venezia, d'altra parte, continuò a richiedere la presenza personale per i trasferimenti fino al XVI secolo.  

La lettera di cambio si sviluppò nel XIV secolo come un modo per evitare il pericoloso trasferimento fisico di valuta su lunghe distanze. Inizialmente, fu utilizzata per regolare transazioni commerciali senza spostare denaro. Tuttavia, tra il XV e il XVI secolo, divenne sempre più uno strumento di credito, con molte lettere emesse senza un collegamento diretto con attività commerciali. Verso la metà del XVI secolo (circa 1550-1570), circa il 90% dei movimenti di lettere di cambio in Europa erano movimenti di capitale a breve termine non correlati a transazioni commerciali. La lettera di cambio coinvolgeva quattro parti e nascondeva il tasso di interesse, rendendola accettabile alla Chiesa in quanto implicava un rischio dovuto ai tassi di cambio fluttuanti. Questo strumento era preferito dai credenti che erano a disagio con l'addebito diretto di interessi.  

Il sistema bancario medievale, specialmente per coloro che si specializzavano in attività bancarie, era caratterizzato da frequenti fallimenti. I banchieri operavano su base di riserva frazionaria, creando moneta prestando una parte dei loro depositi. Tuttavia, affrontavano rischi molto elevati, in particolare da prestiti internazionali a mercanti le cui imprese potevano essere perse a causa di tempeste o pirati. Le voci di tali perdite si diffondevano rapidamente, portando a corse agli sportelli. Una sfida importante era l'assenza di un prestatore di ultima istanza. Quando si verificava una corsa agli sportelli, e i depositanti si affrettavano a prelevare il loro denaro, il sistema a riserva frazionaria significava che le monete non sarebbero state fisicamente presenti, portando al crollo della banca. Le corse agli sportelli erano un evento comune. Sebbene spesso limitate a una singola banca, ci furono casi di corse più ampie. Una notevole crisi a Firenze nel 1575, innescata dal ritiro dei servizi di tesoreria da parte del governo da una banca, portò a una crisi di liquidità che si diffuse ad altre banche fiorentine. Durante questa crisi, le banche ricorsero al pagamento con "inchiostro" (assegni su altre banche) anziché con monete, evidenziando la carenza di valuta fisica. Venezia conobbe anche crisi bancarie a effetto domino alla fine del XV e all'inizio del XVI secolo.  

A seguito di una grave crisi a Venezia, il governo propose e attuò l'istituzione di una banca operante su base di riserva al 100% come sostituto dei banchieri privati. Tuttavia, questa iniziativa non durò a lungo, poiché il governo in seguito ebbe bisogno di denaro e dichiarò che le riserve al 100% potevano consistere in titoli di stato, minando di fatto il principio della riserva totale.  

Vi era generalmente libera entrata nel settore bancario, sebbene fosse limitata dalla necessità di una buona reputazione e di mezzi sufficienti per attrarre depositi. Nonostante l'alto tasso di fallimenti noto (ad esempio, 95 su 97 banche a Venezia fallirono in un secolo), le persone continuavano a entrare nel settore. I fallimenti bancari potevano essere innescati sia da prestiti privati che pubblici. I fallimenti delle banche Barbi e Peruzzi nel XIV secolo furono dovuti a inadempienze sui prestiti pubblici (specificamente, prestiti al governo inglese). Al contrario, i fallimenti delle banche veneziane furono causati principalmente da inadempienze su prestiti privati a mercanti coinvolti in rischiose imprese oltremare. I banchieri e i mercanti non godevano di responsabilità limitata. Erano pienamente responsabili dei debiti dell'azienda con tutto il loro patrimonio personale, inclusi terreni, immobili, case e argenteria. Questa responsabilità illimitata serviva come forma di assicurazione per i depositanti e i creditori. Per mitigare questo rischio, le società commerciali avevano spesso durate contrattuali brevi (massimo due o tre anni). In città come Venezia e Firenze, che erano comunità relativamente piccole, le informazioni sui prestiti bancari e sui potenziali fallimenti circolavano rapidamente. Questa rapida diffusione delle informazioni contribuì alla velocità e all'intensità delle corse agli sportelli. I lavoratori, in particolare a Firenze, erano tipicamente pagati in contanti, spesso in gettoni d'argento. I datori di lavoro si recavano in banca il sabato per prelevare monete per i salari. In tempi di carenza di liquidità, i lavoratori potevano occasionalmente accettare assegni, specialmente quando il contante non era disponibile.  

Il governo romano, per quanto se ne sappia, non ebbe mai un debito pubblico. Invece, riscuoteva tasse, principalmente tasse fondiarie, ed emetteva monete. A Firenze, il governo finanziava le proprie esigenze attraverso tasse e prestiti, inclusi i titoli di stato. Questi prestiti potevano essere volontari o obbligatori, dove gli individui di una certa ricchezza potevano essere obbligati a fornire un prestito proporzionale ai loro beni. I prestiti erano serviti con tasse, principalmente tasse indirette come le dogane. Inizialmente, questi crediti non erano trasferibili. Tuttavia, durante una crisi di liquidità a Firenze, questi crediti divennero trasferibili, in modo simile a come le banche trasferivano fondi. Ciò comportava l'aggiornamento dei registri del tesoro per riflettere il nome del nuovo creditore. Questi registri sono disponibili per Firenze dal XIV al XVII secolo, e anche per Venezia. Esisteva un mercato attivo per questi crediti, con prezzi che fluttuavano in base alla situazione politica o fiscale del governo. I prezzi potevano scendere significativamente, aumentando il tasso di interesse effettivo per coloro che acquistavano i crediti a sconto. Questo mercato attivo iniziò nel XIV secolo.  

Le banche italiane, in particolare quelle di Firenze e Genova, fornirono prestiti a governi come l'Inghilterra e la Spagna. Nel caso dell'Inghilterra, si trattava di anticipi di valuta per finanziare le guerre, con il rimborso promesso dalle entrate doganali. Re Edoardo (probabilmente Edoardo III) alla fine dichiarò bancarotta, sospendendo temporaneamente i pagamenti e accusando i fiorentini di aver applicato interessi eccessivi. Ciò portò a una corsa agli sportelli delle banche fiorentine, causando il fallimento di alcune di esse. Tuttavia, alla fine fu raggiunto un accordo per un rimborso ritardato.  

I banchieri genovesi, attivi nel XVI secolo, erano più sofisticati nelle loro tecniche finanziarie. Utilizzavano strumenti chiamati juros e haciento per raccogliere denaro da tutta Europa, che poi prestavano al Re di Spagna. Questi  

juros avevano un buon mercato grazie al loro alto rendimento, pagato dalle entrate della corona spagnola, inclusi l'argento dalle Americhe e le tasse. Tra il 1557 e il 1620, il governo spagnolo dichiarò default circa cinque volte. Questi default non erano ripudi completi del debito, ma piuttosto rinegoziazioni dei tassi di interesse, con la corona spagnola che dichiarava bancarotta a causa degli alti tassi di interesse. Nonostante questi default, furono alla fine concessi ulteriori prestiti a tassi di interesse più elevati, poiché la Spagna aveva bisogno di fondi per le sue continue guerre contro i Turchi, l'Olanda e la Francia.  

A quel tempo, le banche inglesi erano ancora sottosviluppate, e i banchieri spagnoli mancavano delle sofisticate tecniche dei genovesi. Filippo II di Spagna, frustrato dagli alti tassi di interesse applicati dai genovesi, tentò di ottenere il sostegno dei capitalisti fiorentini, ma questi si dimostrarono inadeguati, costringendolo a tornare dai banchieri genovesi. Il sistema bancario genovese continuò fino al 1620-1630 circa, quando si ritirarono dopo ulteriori ripudi del debito spagnolo. La loro posizione fu poi rilevata da ricchi mercanti ebrei portoghesi, che avevano adottato il cristianesimo per rimanere in Portogallo. Questi ebrei portoghesi finanziarono la corona spagnola dal 1630 al 1700 circa. Prima dei genovesi, dal 1490 al 1530, la corona spagnola fu sostenuta dai banchieri della Germania meridionale, i Fugger, che avevano sviluppato le loro operazioni bancarie basandosi su significative scoperte di argento nella Germania meridionale in quel periodo. Dopo il 1630, il declino della Spagna significò che le sue esigenze finanziarie non erano così grandi come nel periodo di Filippo II.  

Conclusioni

L'analisi delle osservazioni di Carlo Cipolla rivela un quadro dinamico e interconnesso della storia monetaria ed economica. I punti chiave emersi delineano una profonda interdipendenza tra politica monetaria, condizioni economiche e strutture sociali.

In primo luogo, l'evoluzione della moneta non è stata un processo lineare, ma piuttosto una serie di adattamenti alle esigenze economiche e ai contesti sociali. Dalle prime monete a "pieno valore" utilizzate per scopi specifici (come il pagamento dei mercenari) , si è passati a sistemi più complessi e, in alcuni periodi, a un ritorno a forme di scambio pre-monetarie come il baratto e il dono. L'utilità stessa della moneta si è dimostrata contingente alla funzionalità e prevedibilità del mercato.  

In secondo luogo, la politica monetaria è stata spesso uno strumento di gestione fiscale, soprattutto in assenza di mercati del debito pubblico sviluppati. L'Impero Romano, ad esempio, utilizzò il deprezzamento della moneta come una forma di "tassa sull'inflazione" per finanziare le crescenti spese militari e burocratiche. Questo meccanismo, sebbene a volte mascherato da elementi di inganno, permise allo stato di estrarre risorse reali senza ricorrere a prestiti espliciti. La distinzione tra la stabilità della valuta aurea e il deprezzamento di quella argentea nell'Impero Romano e successivamente nel Medioevo suggerisce un approccio bimetallico strategico, dove l'oro fungeva da riserva di valore internazionale, mentre l'argento assorbiva le pressioni fiscali interne.  

In terzo luogo, il collasso e la rinascita delle economie di mercato sono stati strettamente legati all'evoluzione dei sistemi monetari. Il periodo altomedievale in Europa occidentale, caratterizzato da un'economia feudale autarchica e da un sistema monetario primitivo, illustra un circolo vizioso in cui il declino del mercato e la primitività monetaria si sono reciprocamente rafforzati. La successiva ripresa economica dopo il 950 d.C. vide un aumento della monetizzazione e una fioritura delle zecche, con il deprezzamento che, in questo contesto, poteva essere una politica monetaria orientata alla crescita per aumentare l'offerta di valuta e prevenire la deflazione.  

Infine, l'innovazione finanziaria è stata una risposta continua alle esigenze economiche e alle sfide di sicurezza. L'emergere di banchieri e cambiavalute, e successivamente dei mercanti-banchieri, ha segnato il passaggio da pratiche informali a istituzioni più strutturate. Lo sviluppo del sistema a riserva frazionaria ha permesso la creazione di moneta, ma ha anche introdotto rischi significativi, portando a frequenti fallimenti bancari in assenza di un prestatore di ultima istanza. La lettera di cambio, nata per evitare il pericoloso trasferimento fisico di valuta, si è evoluta in un sofisticato strumento di credito, facilitando il commercio e i movimenti di capitale su vasta scala. Il ruolo della fiducia sociale si è rivelato fondamentale in queste innovazioni, come dimostrato dal passaggio di Firenze agli ordini di pagamento scritti.  

In sintesi, l'analisi di Cipolla rivela che la storia monetaria è una narrazione complessa di adattamento, innovazione e interazione tra forze economiche, sociali e politiche. I sistemi monetari non sono entità statiche, ma riflettono e modellano le strutture economiche e le relazioni sociali, con implicazioni profonde per la stabilità e la crescita delle civiltà.

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