Ultime novità sul falso in bilancio
13 aprile 2016 -
Il
4 Marzo 2016 con ordinanza numero 9186, la quinta sezione della Corte
di Cassazione invoca l’intervento delle sezioni unite, chiamata a
dirimere un importante contrasto giurisprudenziale, sorto a seguito
dell’emanazione della legge 69 del 2015, in tema di falso in bilancio.
Innanzitutto, è opportuno, seppur
brevemente, analizzare la (nuova) disciplina del falso in bilancio, per
poi passare, in un secondo momento, ad esaminare i motivi per cui la
corte di cassazione abbia deciso di rimettere il contrasto
giurisprudenziale creatosi all’attenzione delle Sezioni Unite.
Il falso in bilancio, “pietra angolare”
del diritto penale societario è stato oggetto, negli ultimi anni, di
varie modifiche legislative l’ultima delle quali operata dalla legge 27
maggio n. 69 del 2015, la quale disegna l’attuale formulazione degli
articoli 2621, 2621 bis, 2621 ter, 2622 del codice civile. Il nuovo
assetto dei reati di false comunicazioni sociali è costituito da due
fattispecie incriminatrici (articoli 2621 e 2622) che si differenziano
per la tipologia societaria, e da due norme, l’articolo 2621 bis e 2621
ter, riferite solamente all’articolo 2621, le quali disciplinano l’una,
una diminuzione di pena nei casi di lieve entità, l’altra, una causa di
non punibilità per la particolare tenuità del fatto. Gli articoli 2621
rubricato “false comunicazioni sociali” e l’articolo 2622 rubricato
“false comunicazioni sociali in danno della società dei soci o dei
creditori”, presentano alcune differenze: Innanzitutto, il primo si
riferisce generalmente alle società commerciali, il secondo alle società
quotate (“società emittenti strumenti finanziari ammessi alla
negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese
dell’Unione Europea”) e società ad esse equiparate indicate nel comma 2.
In secondo luogo, nel disposto di cui all’articolo 2621 oggetto della
condotta sono i “fatti materiali rilevanti”, invece nell’articolo 2622
soltanto “fatti materiali”, senza il connotato della rilevanza. Infine,
sussistono differenze per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio, il
2621 è punito più lievemente (con una pena alla reclusione da 1 a 5
anni), la condotta di cui al 2622 è punita più gravemente (con una pena
alla reclusione da 3 a 8 anni).
La “storia” del falso in bilancio si può
suddividere sostanzialmente in 3 periodi diversi, caratterizzati da una
diversa rilevanza applicativa della norma in esame: una prima fase, che
va dall’introduzione del reato nel codice civile del 1942 fino agli
anni ottanta, in cui il reato ha avuto un’applicazione sporadica. Una
seconda fase, coincidente con il dilagarsi, in Italia, dei fenomeni
corruttivi, a seguito della nota inchiesta “mani pulite”(del ‘92/’93),
in cui il falso in bilancio era diventato lo strumento attraverso cui la
procura poteva arrivare a contestare il reato di corruzione
(sostanzialmente, il Falso in bilancio serviva per creare fondi neri/non
contabilizzati finalizzati al pagamento delle tangenti). È stato
definito come uno “straordinario Grimaldello per gli organi inquirenti”,
da altra parte è stata denunciata la “moda dell’accusa di Falso in
bilancio”. Una terza fase caratterizzata da scarsissima applicazione, ad
opera del Decreto Legislativo 61 del 2002 che aveva comportato di fatto
una “depenalizzazione” del falso in bilancio, trasformandolo in un
reato contravvenzionale (punito con l’arresto fino a due anni),
procedibile a querela, e introducendo soglie quantitative di punibilità,
espresse in percentuale (ora sostituite dall’inciso “fatti materiali
rilevanti”) al di sotto delle quali la falsità realizzata diveniva
quantità trascurabile.
Infine, in questa cornice si colloca
l’attuale riforma ad opera della legge 69 del 2015 che, da un lato,
eliminando le precedenti soglie quantitative di punibilità e
ricollocando il reato nell’ambito dei delitti (con una pena alla
reclusione da 1 a 5 anni), sembra aver dato nuova linfa vitale al
principale reato societario, dall’altro, però, anche la nuova riforma
presenta dei tratti poco chiari che, come vedremo, hanno costretto la
quinta sezione penale della Cassazione a “mobilitare” le Sezioni unite,
affinché queste ultime, è bene anticiparlo subito, si pronuncino sulla
effettiva portata dell’eliminazione dal testo della norma dell’inciso
“ancorché oggetto di valutazione” e, dunque, sulla rilevanza penale del
c.d. Falso valutativo.
L’interesse tutelato dalla nuova struttura delle norme sul falso in bilancio è costituito dalla trasparenza societaria (rectius,
correttezza e trasparenza dell’informazione sociale). Si tratta di un
reato proprio, che contempla tra i soggetti attivi “ gli amministratori,
i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti
contabili societari, i sindaci e i liquidatori” cioè i soggetti che
all’interno della società svolgono funzioni di amministrazione attiva e
di controllo. Tra i soggetti attivi bisogna annoverare, ai sensi
dell’articolo 2639 “estensione delle qualifiche soggettive” , chi è
tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, del
soggetto investito della qualifica o titolare delle funzione prevista
dalla legge e chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri
tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Oggetto materiale della condotta sono
gli strumenti tipici dell’informazione societaria, e cioè bilanci,
relazioni e altre comunicazioni sociali. All’interno del concetto di
bilancio devono ricomprendersi, innanzitutto, il bilancio di esercizio
comprensivo dello stato patrimoniale, conto economico nota integrativa
e il bilancio consolidato del gruppo. Per quanto riguarda “le altre
comunicazioni sociali”, al fine di evitare di ricomprendervi anche ad
es. le comunicazioni orali, è stato previsto, perché la falsità abbia
rilievo, che esse siano previste dalla legge (esplicitamente previsto
dal 2621 ma non dal 2622). In secondo luogo, le comunicazioni devono
essere dirette ai soci o al pubblico, ciò esclude le comunicazioni
dirette a socio singolo o a soggetto determinato. Infine per “relazioni”
si deve intendere i rapporti scritti previsti come obbligatori dalla
legge in determinate situazioni. Le informazioni false devono concernere
“ la situazione economica, finanziaria o patrimoniale della società.
La condotta tipica, sostanzialmente
comune nelle due fattispecie di cui agli articoli 2621 e 2622, consiste
nell’esporre “nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni
sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge.. fatti
materiali rilevanti non rispondenti al vero” (condotta commissiva) o di
omettere” fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla
legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della
società”( condotta omissivo), in quest’ultima condotta è stato espunto
il riferimento alle “informazioni”. Come si accennava in precedenza,
nella nuova formulazione della norma le precedenti soglie percentuali di
punibilità, che limitavano molto l’ambito di applicazione della norma,
sono state sostituite con l’aggettivo “rilevanti”, quale connotato dei
“fatti materiali”. Si noti bene che il suddetto aggettivo è presente nel
reato di cui al 2621 ma non in quello di cui al 2622. Il requisito
della rilevanza, dunque, assolve al compito di escludere, dall’ambito di
applicazione della norma, quelle falsità che attengono a dati di
bilancio trascurabili e insignificanti. I fatti materiali, contenuti nei
tre veicoli ( bilanci, relazioni, comunicazioni sociali) devono essere
caratterizzati dal requisito della “idoneità di indurre a errore” e, sul
piano soggettivo, dal requisito della “consapevolezza” e dal fine di
conseguire un “ingiusto profitto”
Passiamo ora ad analizzare l’oggetto
principale di questo commento e l’aspetto, forse, più controverso della
riforma del falso in bilancio, sul quale, a breve, dovranno
pronunciarsi le Sezioni unite: Il problema delle valutazioni estimative.
Dal punto di vista testuale, si è
passato dalla locuzione “fatti falsi” contenuta nel codice di commercio
Zanardelli del 1882, a quella “fatti non rispondenti al vero”
utilizzata dal legislatore del 1942, per giungere alla formulazione
fornita dal Decreto Legislativo 61 del 2002 “ fatti materiali non
rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni” e, infine alla
formula attuale “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”
della legge 69 del 2015. Come è evidente, il legislatore del 2015 ha
espunto dal testo della norma L’inciso “ancorché oggetto di valutazione”
, questa modifica ha portato molti commentatori a chiedersi se, dopo la
riforma, si potesse ancora parlare di rilevanza penale del falso
valutativo, questione non di poco conto, posto che quasi tutte le voci
di bilancio sono frutto di una qualche valutazione, con la conseguenza
che ove non le si ricomprendesse nella fattispecie penale, l’ambito di
applicazione del nuovo reato sarebbe notevolmente ridotto. Non solo la
dottrina è divisa sul punto, ma anche in giurisprudenza si rinvengono
pronunce di segno opposto. Dunque, al fine di porre fine alla diatriba e
di far convergere i diversi orientamenti in materia, la V sezione della
Corte di Cassazione ha investito della questione le Sezioni Unite,
preoccupandosi di dare conto, in maniere dettagliata ed esaustiva, delle
diverse e contrapposte pronunce giurisprudenziali che si sono
succedute.
La prima pronuncia della Corte di
Legittimità sul tema è rappresentata dalla sentenza 33774 del 16 Giugno
2015 (nota come sentenza Crispi), la quale ha ritenuto che il
legislatore, espungendo dal nuovo testo della norma la locuzione
“ancorché oggetto di valutazioni” abbia voluto privare di rilevanza
penale il falso valutativo o estimativo; sulla base della considerazione
secondo cui “il dato testuale e il confronto con la previgente
formulazione degli artt. 2621 e 2622, come si è visto in una disarmonia
con il diritto penale tributario e con l’articolo 2638 codice civile,
sono elementi indicativi della reale volontà legislativa di far venire
meno la punibilità dei falsi valutativi”. Singolare notare come questa
sentenza sia intervenuta a distanza di pochi giorni dall’entrata in
vigore della legge 69 del 2015.
Un secondo orientamento (opposto al
primo) è rinvenibile nella relazione dell’ufficio del Massimario della
Corte di Cassazione, il quale opta per “un ritorno” alla punibilità del
falso valutativo, sulla base di una serie di argomenti. Vediamone
alcuni: l’espressione “ancorché oggetto di valutazioni” è ritenuta come
“frutto di una superfetazione che nulla aggiunge e nulla toglie ai fatti
di cui al previgente articolo 2621 n. 1 codice civile.” Ancora “ il
valore semantico della clausola in questione era o pressoché nullo, in
quanto nessun incremento apportava al sintagma che lo precedeva, ovvero
meramente confermativo dell’approdo ermeneutico cui erano giunte
dottrina e giurisprudenza maggioritaria con riguardo alla omologa
clausola presente nell’articolo 2621 codice civile, in vigore fino alla
riforma del 2002.”
La terza pronuncia in ordine cronologico
è rappresentata dalla sentenza 890 del 2016 (sentenza Giovagnoli) la
quale sostanzialmente opera un revirement, sostenendo che la
locuzione “ancorché oggetto di valutazione” di fatto non aggiungesse
nulla al concetto di “fatti materiali” e, dunque, la sua soppressione
non avesse alcun effetto abrogativo. L’eliminazione, a dire della corte,
non può assumere alcuna valenza decisiva. La Corte ritiene che la
congiunzione “ancorché” abbia una valenza “ancillare meramente
esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della preposizione
principale”. Il giudice di legittimità conclude, pertanto, ritenendo che
nella nozione di rappresentazione di fatti materiali rilevanti non
possa non ricomprendersi anche le valutazioni le quali devono essere
conformi a criteri valutativi previsti dalla disciplina civilistica e
dalle norme di diritto comunitario, la violazione dei quali, dunque,
comporta la falsità della rappresentazione valutativa, ancora oggi
punibile ai sensi dell’articolo 2621, nonostante la soppressione
“dell’inutile inciso” “ancorché oggetto di valutazioni”. Inoltre, la
sentenza “Giovagnoli” giustifica il fatto che il controverso inciso
permanga nell’articolo 2638, specificando che aderendo all’orientamento
opposto si giungerebbe alla situazione paradossale e di dubbia
costituzionalità che la redazione dello stesso bilancio, contenete falsi
valutativi, sarebbe penalmente irrilevante se diretto ai soci e al
pubblico (ex articolo 2621) e penalmente rilevante se rivolto alle
autorità pubbliche di vigilanza(ex articolo 2638). Infine, nella
medesima sentenza la Corte fa notare come nel testo dell’articolo 2621
antecedente la riforma del 2002 non sussisteva nessun riferimento alle
valutazioni, tuttavia, la giurisprudenza non aveva dubbi nel ritenere
che anch’esse fossero inglobate dal precetto penale.
L’ultima pronuncia (cassazione
6916/2016) ritorna sui passi della sentenza “Crispi”, sulla base di due
argomentazioni: In primo luogo, nella previgente disciplina il
legislatore aveva previsto espressamente che oggetto dei “fatti
materiali non rispondenti al vero” fossero anche le valutazioni. Il
fatto che nel nuovo testo della norma il legislatore non lo abbia
specificato espressamente, lascia intendere che la volutas legis
era nel senso di ridurre l’ambito di applicazione della nuova
fattispecie, con esclusione dei cosiddetti falsi valutativi. In secondo
luogo, un’ ulteriore conferma nel senso dell’abrogazione del falso
valutativo deriva da un’analisi comparata del nuovo testo dell’articolo
2621 con quello dell’articolo 2638. La circostanza secondo cui l’inciso
“ancorché oggetto di valutazione” sia stato espunto soltanto
dall’articolo 2621 ed, invece, sia stato mantenuto all’interno
dell’articolo 2638, conferma ancora una volta la chiara intenzione del
legislatore di escludere la rilevanza penale dei fatti valutativi con
esclusivo riferimento al reato di false comunicazioni sociali (articolo
2621). Inoltre il termine “materiale” legato al “fatto” deve essere
letto non solo come contrario al termine “immateriale”, ma anche
nell’accezione di oggettività dei fatti, in quanto tale estranea ai
risultati valutativi.
Dunque, stante la rilevanza della
questione e il contrasto interpretativo, sopra brevemente rappresentato,
la V sezione ha ritenuto necessario rimettere il ricorso alle Sezioni
Unite affinché le stesse si esprimano sul seguente quesito di diritto
formulato dalla Corte rimettente: “se la modifica dell’articolo 2621
codice civile per effetto dell’articolo 9 legge 69 del 2015 nella parte
in cui, disciplinando le false comunicazioni sociali, non ha riportato
l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un
effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.
Attendiamo la pronuncia delle Sezioni
Unite, le quali dovrebbero pronunciarsi in tempi rapidi vista
l’importanza della questione che è stata loro sottoposta.
Qualche ipotesi.
Se le Sezioni Unite dovessero
riconoscere la intervenuta abrogazione del falso valutativo si
assisterebbe, inevitabilmente, ad un radicale ridimensionamento della
sfera di applicazione del falso in bilancio (di fatto, sotto questo
punto di vista, cambierebbe poco rispetto alla scarsa applicazione di
cui godeva nel vigore della riforma del 2002).
Se, invece, le Sezioni Unite dovessero
riconoscere che, nonostante l’espunzione dell’inciso “ancorché oggetto
di valutazioni”, la nuova fattispecie del falso in bilancio sia ancora
idonea a ricomprendere il falso valutativo o estimativo, allora, la
nuova norma riacquisterebbe quel vigore e quella ampia portata
applicativa che aveva perso con la c.d. “depenalizzazione di fatto”
avvenuta con la riforma del 2002.
Articolo pubblicato in: Diritto penale commerciale
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