MENDACIO E FALSO INTERNO BANCARIO
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L’art. 137 del TUBC prevede, al primo comma, il delitto di mendacio bancario,
consistente nella condotta di “chi, al fine di ottenere concessioni di
credito per sé o per le aziende che amministra, o di mutare le
condizioni cui il credito venne prima concesso, fornisce dolosamente a
una banca notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione
economica, patrimoniale e finanziaria delle aziende comunque interessate
alla concessione del credito”. La pena è della reclusione fino a un
anno e della multa sino a lire dieci milioni. Il secondo comma prevede
l’ipotesi contravvenzionale di falso interno bancario, che
sanziona “chi svolge funzioni di amministrazione o di direzione presso
una banca oltre che i dipendenti di banche che, al fine di concedere o
far concedere credito ovvero di mutare le condizioni alle quali il
credito venne prima concesso ovvero di evitare la revoca del credito
concesso, consapevolmente omettono di segnalare dati o notizie di cui
sono a conoscenza o utilizzano nella fase istruttoria notizie o dati
falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e
finanziaria del richiedente il fido” con l’arresto da sei mesi a tre
anni e con l’ammenda fino a venti milioni di lire. Entrambe le ipotesi
vengono prese in considerazione qualora il fatto non costituisca più
grave reato. Mentre il 1° comma riproduce nelle linee essenziali l’art.
95 della vecchia legge bancaria, oltre che la disciplina dell’art. 37
d.lg. 481/92 che l’aveva sostituito, il 2° comma introduce un’ipotesi
del tutto nuova. Le due disposizioni si caratterizzano per una soglia di
tutela particolarmente avanzata, poiché i due reati si consumano già
nella fase preliminare del rapporto di credito, a prescindere dalla
idoneità delle false informazioni a trarre in inganno. In entrambe le
ipotesi la condotta consiste in false comunicazioni in relazione alla
concessione di un fido. Mentre, tuttavia, il 1° comma esige una condotta
commissiva, il falso interno si configura anche con la
semplice omissione. Ciò è dovuto al maggior disvalore che consegue a
comportamenti ingannevoli posti in essere da soggetti qualificati dalla
loro funzione nell’ambito della banca che eroga il credito. È proprio
questa considerazione che fa ritenere incomprensibile, a fronte di una
previsione delittuosa di mendacio bancario, la scelta legislativa di
tutelare il falso interno con una contravvenzione, e la
perplessità è ancora maggiore ove si ponga mente al fatto che la nuova
ipotesi di cui al secondo comma è verosimilmente destinata a fungere da
vera e propria norma di chiusura, in quanto chiamata a comprendere sotto
il proprio ambito di operatività, in materia bancaria, le ipotesi che
prima della l. 86/90 venivano punite a titolo di peculato per
distrazione.