La moneta è capitale o debito di chi la emette?
Come la Banca d’Italia documenta nelle sue informazioni statistiche sul debito pubblico, le monete metalliche, che pure hanno corso legale, sono considerate passività dello Stato che le emette e sono conteggiate ai fini del debito. Analogamente, le banconote emesse dalla banca centrale e, per estensione, le riserve dalla stessa create – che peraltro rappresentano la gran parte della base monetaria di ogni economia contemporanea – costituiscono passività della banca centrale che le emette e sono contabilizzate come debito di quest’ultima nei confronti dei possessori.
Tuttavia, alla luce di una corretta applicazione dei principi di contabilità generale, la configurazione formale della moneta legale come “debito”, ancorché fondata su un indubbio “principio di legalità” (in prima battuta la moneta emessa è debito “perché così dice la legge”), lascia non poco perplessi. Il debito comporta un rapporto obbligatorio tra le parti e, sebbene il nostro codice civile non definisca espressamente l’obbligazione giuridica, l’intera giurisprudenza mondiale considera ancora valida la definizione insuperata del corpus juris giustinianeo:
«Obligatio est juris vinculum, quo necessitate adstringimur alicujus solvendae rei secundum nostrae civitatis jura»[1]
Ci chiediamo, pertanto, a quale adempimento possa costringere lo Stato il possessore di monete metalliche, a quale adempimento possa costringere la banca centrale il possessore di banconote, ovvero ancora a quale adempimento possa costringere la banca centrale una istituzione finanziaria che detiene riserve presso la stessa. Ci riferiamo a queste tre “specie” monetarie, classificate come “debiti” nelle” rispettive contabilità, perché sono quelle oggi considerate a tutti gli effetti vera e propria “moneta legale”, moneta cioè cui l’ordinamento giuridico riconosce il potere di estinguere le obbligazioni in denaro, e che quindi, in virtù di tale potere, non reca per l’ente che la emette alcun obbligo di conversione in forme di valore di cui esso non sia direttamente produttore.[2].
Analogo quesito, sia pure con importanti distinguo, ci poniamo rispetto alla “moneta bancaria” creata dalle banche commerciali sotto forma di depositi a vista, giacché essa svolge una funzione assimilabile a quella della moneta legale nella quasi totalità dei rapporti obbligatori delle banche nei confronti della clientela e non, invece, con riferimento ai rapporti interbancari laddove sussiste l’obbligo di regolare i pagamenti interbancari con moneta emessa dalla banca centrale.[3] Per questo tipo di moneta facciamo un rinvio alla chiusura di quest’articolo, mentre di seguito ci concentriamo sulla moneta legale emessa dallo Stato o dalla banca centrale.
La moneta legale: è ancora “debito”?
Un tempo lo Stato garantiva una certa quantità di metallo pregiato nelle proprie monete e i detentori di moneta divisionale potevano, raccogliendone quantitativi sufficienti, pretenderne l’equivalente in oro o argento. [4] Sempre un tempo, le banconote conferivano al portatore il diritto a ottenerne la conversione in monete d’argento e d’oro e, per corrispondere a quest’obbligo, gli istituti di emissione detenevano opportuni ammontari di “riserva metallica”. Il medesimo obbligo impegnava le banche centrali rispetto alle riserve che le banche commerciali detenevano presso di sé. Dunque, le tre specie monetarie davano luogo a veri e propri obblighi di debito cui l’ente emittente era legalmente vincolato, attivabili su richiesta dei portatori.
Ma che senso ha, oggi, parlare di “debito” in regimi monetari che non comportano per le banche centrali né obblighi di conversione della moneta emessa in altre forme di valore (che non siano sempre passività delle medesime) né impegni di restituzione a favore dei possessori?
La convertibilità è scomparsa per gradi e in modo diverso nelle tre specie di monete legali sopra richiamate. Le monete metalliche hanno visto diminuire il titolo teoricamente presente in esse già molti secoli or sono, poi sono state in gran parte sostituite da monete divisionali, e infine rese irrilevanti dal diffondersi della moneta legale sotto forma cartacea, la “carta-moneta”. Le banconote hanno visto dapprima sospendere la loro convertibilità con provvedimento straordinario (il cosiddetto “corso forzoso”), poi diventato definitivo (il cosiddetto “corso legale”). L’abbandono del gold-exchange standard, ormai quasi mezzo secolo fa, ha determinato il definitivo tramonto di queste banconote a debito, anche su scala globale. E anche i depositi detenuti dalle banche commerciali o dallo Stato presso la banca centrale sotto forma di riserve sono oggi svincolati da qualsiasi obbligo della banca centrale di convertirli in metalli o passività di altre entità (a meno che la banca centrale non operi in regime internazionale di cambi fissi, dollarizzazione o currency board).
Insomma, la moneta legale “era” debito in epoche passate, ma non lo “è” più oggi, mentre pare che l’allocazione storica non sia stata più messa in discussione. Infatti, semplicemente in ragione della sua origine storica e per inerzia contabile, la moneta legale resta ancor oggi contabilmente allocata tra i debiti della banca centrale (e, per identica ragione, come ci ricorda la Banca d’Italia, le monete metalliche in quella dello Stato).
Tuttavia, tale moneta, ancorché costituisca una “passività” della banca centrale che la emette (nel senso puramente tecnico di “fonte” di finanziamento, allocata nella sezione “Avere” del suo stato patrimoniale, in contrapposizione agli “impieghi” posti nella sezione “Dare”), non è affatto da considerarsi debito (e cioè un’obbligazione cui fanno riscontro diritti di credito), bensì una forma di vero e proprio “capitale netto” (e cioè una passività cui fanno riscontro diritti di proprietà).
L’ “Approccio Contabile” alla moneta legale
In questo caso, i diritti di proprietà sulla moneta sono i medesimi di quelli relativi ai beni che conseguono gli acquirenti a fronte dei ricavi di vendita dell’azienda che li colloca sul mercato. Da un punto di visto economico, collocare sul mercato un bene fisico cui corrispondono determinati benefici per l’acquirente, o collocare uno strumento che dà un beneficio sui generis all’acquirente – quello di poter legalmente adempiere ad ogni sorta di obbligazioni – non sono fenomeni poi così diversi l’uno dall’altro.
Quindi, dire che la moneta legale non è un debito della banca centrale, ma una parte del suo capitale netto, non deve essere inteso nel senso che chi riceve moneta legale diventa proprietario della banca centrale (come colui che riceve le azioni di una società), ma nel senso che l’emissione di moneta legale equivale alla vendita di un bene che conferisce al possessore il diritto “assoluto” (non “relativo”, o di obbligazione) di proprietà su una quota corrispondente della ricchezza nazionale.
Se questo beneficio acquisito si potesse far valere solo presso l’emittente, si tratterebbe certamente di un debito, e quindi – da un punto di vista giuridico – di un diritto relativo con le sue due consuete polarità (un creditore da una parte e un debitore dall’altra). Se, invece, il beneficio acquisito si può far valere erga omnes, cioè nei confronti di tutti i consociati, da un punto di vista giuridico si tratta di un diritto assoluto, di cui l’emittente non risponde più di quanto non facciano tutti gli altri consociati che sottostanno al medesimo ordinamento giuridico.
Nel caso dell’emissione di nuova moneta legale da parte di un ente pubblico, la variazione economica positiva che ne consegue va a beneficio dei proprietari dell’ente emittente medesimo: i cittadini. Nel caso l’emissione avvenga ad opera di una banca centrale il cui capitale fosse di proprietà di soggetti privati, è a questi ultimi, e non ai cittadini, che va ascritto il beneficio economico dell’avere emesso moneta, a nulla rilevando se questo sia erogato loro sotto forma di dividendi o resti perennemente investito sotto le “mentite spoglie” di passività. In ogni caso, la moneta legale è “capitale” per chi la emette e non debito. E, più precisamente, poiché il capitale si compone di capitale proprio e di utili non distribuiti, la moneta legale è assimilabile ai secondi e non al primo, che invece corrisponde all’emissione di azioni.
È ben noto al “falsario” che la stampa di una banconota rappresenti un “ricavo” per la sua impresa, il cui patrimonio netto ne risulta immediatamente accresciuto senza che maturi alcun debito. Parimenti, per chi falsario non è, e stampa banconote o conia monete legittimamente – tipicamente lo Stato e la banca centrale – l’emissione rappresenta un ricavo che contribuisce all’utile aziendale. Se non distribuito ai titolari, tale utile viene accumulato a riserva di patrimonio netto, convertendosi in capitale. Ciò che accade oggi è che questo “ricavo” non passa dal conto economico, ma è automaticamente accantonato a riserva sotto forma impropria di “passività”.
Poco o nulla rilevano per confutare tale lettura osservazioni “moralistiche” del tipo: la banca centrale, emettendo moneta, è responsabile della diminuzione del potere d’acquisto della moneta. E poco o nulla rilevano altresì osservazioni “macroeconomiche” quali: l’emissione di moneta non crea vera ricchezza a livello nazionale, ma solo un minor valore per tutti i detentori di moneta in quel momento. Si tratta infatti di nient’altro che artifici retorici che nascondono la natura strettamente “aziendale” e non “sociale” della qualifica di debito: un debito è debito solo se qualcosa è dovuta a qualcuno, non se esso causa un costo o un disagio per qualcuno. Inoltre, qualunque considerazione di natura macroeconomica in ordine alle conseguenze dell’emissione di moneta legale è irrilevante rispetto alla natura eminentemente contabile della moneta stessa.
Il punto centrale sta infatti nel qualificare la moneta legale come diritto assoluto e non relativo per chi la possiede. Il soggetto che la detiene in portafoglio, in luogo di possedere un bene che gli arreca un’ utilità specifica (la caffettiera che gli fa il caffè, l’auto che lo porta al lavoro, la casa che gli dà un tetto), ne possiede uno che incorpora un tipo speciale di utilità: il diritto di saldare qualsiasi tipo di obbligazione pecuniaria. Per chi la possiede, dunque, la moneta è un bene come gli altri, ma, a differenza degli altri, è direttamente e immediatamente scambiabile con tutti i beni (e altre forme di valore) e a costo di transazione pari a zero.
Chi vede questo bene come “credito”, lo vede per ciò che la moneta è stata in passato ma che non è più dal momento che è diventata “legale”. Chi riceve questo bene acquisisce potere di acquisto aggiuntivo, definitivo e senza contropartite rispetto alla ricchezza nazionale. E chi lo vende ottiene in cambio un “reddito lordo” pari esattamente al suo valore nominale. Non è un caso che la forbice tra il ricavo lordo da vendita della moneta legale (pari al suo valore nominale) e il costo di produzione della moneta stessa sia un reddito netto, universalmente noto come “signoraggio”, che è appunto la rendita di cui solo lo Stato o altri soggetti da esso all’uopo autorizzati possono appropriarsi, aumentando il proprio potere d’acquisto.[5]
Implicazioni
Da quanto precede seguono tre implicazioni assai rilevanti. La prima è che la moneta legale non può essere neanche definita come uno strumento finanziario. “Strumento finanziario”, per l’IAS 32, è quello strumento che è “attività per una parte e passività per un’altra parte”.[6] Mancando questa reciprocità, la moneta legale non è strumento finanziario per chi la possiede, ma proprietà vera e propria. E siccome gli strumenti di credito e debito sono un sottoinsieme degli strumenti finanziari, la moneta legale, non essendo strumento finanziario, non è a fortiori “credito” per chi lo detiene e “debito” per chi lo emette.
La seconda implicazione è che il reddito da signoraggio viene sistematicamente occultato nel momento in cui il ricavo viene letteralmente dirottato dal conto economico (suo luogo “naturale”) alle passività dello stato patrimoniale, creando un clamoroso falso in bilancio. Questo signoraggio è altresì detto “primario”, per distinguerlo da quello “secondario” che consegue dagli interessi attivi ottenuti dai prestiti del denaro emesso e dato in prestito. La moneta metallica lo Stato non la dà in prestito, quindi non ottiene alcun signoraggio secondario (e quello primario, soprattutto sui centesimi, è prossimo allo zero, giacché i costi di produzione equiparano sostanzialmente i “ricavi” della loro collocazione, sia pure spacciati per “debito”). La banca centrale, invece, contabilizza, e retrocede allo Stato, il signoraggio secondario sulle banconote, ma non conteggia il signoraggio primario, che resta accumulato a riserva delle stesse, sia pure sotto le mentite spoglie di “passività”. La stessa banca centrale, infine, non contabilizza in alcun modo né il signoraggio primario, né quello secondario sulle riserve emesse.
La terza implicazione è che il processo storico che ha portato la moneta metallica, cartacea e le riserve di banca centrale a diventare moneta legale è tutt’oggi in atto con la moneta bancaria (i depositi a vista) che usiamo tutti i giorni. In questo caso, seppure sussiste l’obbligo di convertibilità in banconote (su richiesta dei depositanti) e in riserve di banca centrale (per le transazioni interbancarie), cresce l’assimilazione della moneta bancaria a quella legale dal momento che i moderni sistemi di pagamento tendono a ridurre drasticamente l’uso del contante e a economizzare l’utilizzo delle riserve di banca centrale.[7] Una conseguenza importante (di cui nessuno parla) è che i “debiti verso la clientela” rappresentati nei bilanci bancari come c/c generano ricavi così come le banconote, le monete metalliche e le riserve di banca centrale per gli enti che le emettono. [8] Pertanto, con la riduzione del contante e le economia di scala nell’uso delle riserve, si è finito per appaltare quote sempre maggiori di signoraggio a privatissime società per azioni.
Conclusioni
Quanto precede è soltanto l’abbozzo di una nuova visione secondo il proposto “Approccio Contabile” alla moneta legale, che applica a questa forma di moneta una corretta lettura dei principi di contabilità generale. Tale nuovo approccio andrà approfondito e tutte le implicazioni che ne derivano dovranno essere adeguatamente considerate. Tuttavia, già a una primissima analisi, emerge tra le implicazioni più rilevanti la sottovalutazione del potere di signoraggio appannaggio di chi emette moneta. Occorrerà identificare e stimare quantitativamente l’ammontare di tale signoraggio, quanto di esso venga o meno restituito ai “legittimi proprietari” della moneta (i cittadini), e i suoi effetti sull’attività economica, sulla struttura degli incentivi e sulla distribuzione della ricchezza nella società.
Con particolare riferimento alla finanza pubblica, è auspicabile che il nuovo approccio induca a depurare i bilanci degli Stati e delle banche centrali dalle “incrostazioni storiche” ormai del tutto prive di senso e che oggi costituiscono un vero e proprio falso in bilancio, qualificando come “debito” quella che in realtà è soltanto emissione sovrana di moneta da parte degli Stati. Se, infatti, l’emissione sovrana di moneta, anziché essere computata come riserva di capitale netto dell’ente emittente, è computata come debito, introduce nell’economia elementi inevitabilmente deflattivi.
Considerare la moneta come debito anche quando non lo è, e immetterla come tale nel sistema, eleva artificialmente il costo di funzionamento dell’economia, e il servizio del debito che ne consegue drena liquidità dal sistema, sottrae risorse reali dall’economia e richiede l’emissione periodica di nuovo debito affinché l’economia possa funzionare. La capacità di crescita economica viene erosa da tale meccanismo, allorché l’accumulazione di debito impone obblighi di contenimento e aggiustamento. Finora questa contraddizione non sembra avere incontrato soluzioni serie: non lo sono certo l’aggressione fiscale dei patrimoni e dei redditi delle economie più deboli, o lo smantellamento dell’intera spesa pubblica, sempre a danno di settori e delle aree più vulnerabili, non solo per gli effetti sociali devastanti che essi provocano, ma anche perché dimostrano di non funzionare affatto.
La natura contabile della moneta non è questione di esclusiva pertinenza degli accademici aziendalisti, ma dovrebbe rivestire interesse generale per le rilevantissime ripercussioni che una sua non corretta applicazione ha per l’intero sistema economico.
Riferimenti Bibliografici
Bossone, B. (2000), What Makes Banks Special? A Study of Banking, Finance, and Economic Development, Policy Research Working Paper No. 2408, World Bank, Washington, DC.
Bossone, B. (2001), Circuit theory of banking and finance, Journal of Banking and Finance, Vol. 25, Issue 5, vol. 25, Issue 5, 857-890.
Bossone, B. (2017), Commercial bank seigniorage: A Primer, in via di pubblicazione su Finance Series, World Bank (disponibile in forma di manoscritto su richiesta all’autore).
Costa, M. (2009), Sulla natura contabile delle “passività monetarie” nei bilanci bancari, Quaderni Monografici Rirea, n. 85.
McLeay, M., Radia, A. and Thomas, R. (2014), “Money Creation in the Modern Economy”, Bank of England Quarterly Bulletin, 54(1), 14-27.
Note:
[1] Traduzione: «L’obbligazione è un vincolo giuridico, in forza del quale si può costringere qualcuno all’adempimento di una prestazione secondo le leggi del nostro ordinamento».
[2] Non rispondono a tale criterio le monete che pongono obblighi di conversione (su richiesta o a scadenza) in riserve materiali di valore (es., metalli preziosi) o in passività emesse da soggetti terzi (es., valute di riserva internazionali). D’altra parte, la conversione di riserve in banconote non costituisce obbligo di debito per la banca centrale, ma soltanto una sostituzione fra passività (irredimibili in altra forma di valore) emesse dalla stessa banca centrale.
[3] E anche in questi casi la moneta bancaria opera da strumento di regolamento (e quindi quale moneta legale a tutti gli effetti) per tutti i pagamenti interbancari che avvengono tra conti detenuti da più banche presso il medesimo istituto bancario (pagamenti “on us”).
[4] Cfr. M. Costa (2009).
[5] Il signoraggio percepito dalle banche commerciali è possibile in ragione del regime autorizzativo, previsto da leggi e norme di Stato, che ne limita l’accesso al mercato di soggetti privati con potere di accettare depositi a vista ed estendere credito.
[6] Cfr. al paragrafo 11, le seguenti definizioni: “Uno strumento finanziario è qualsiasi contratto che dà luogo a un’attività finanziaria di un’azienda che è una passività finanziaria o uno strumento di netto per un’altra azienda…
…Una passività finanziaria è una passività che è (A) una obbligazione contrattuale a (1) dare cassa o altra attività finanziaria ad altra azienda; (2) scambiare attività o passività finanziarie a condizioni potenzialmente sfavorevoli; (B) un contratto da regolare con l’emissione di strumenti azionari dell’azienda (…omissis)
… Uno strumento di netto è qualsiasi contratto che evidenzi un interesse residuale nell’attività dell’azienda dopo aver detratto tutte le passività [cioè il diritto ad una corrispondente quota del patrimonio di liquidazione]”
La moneta legale, per l’ente emittente, non va incontro a nessuna delle definizioni sopra riportate. Quindi essa non è né debito, né “strumento di partecipazione al netto”, come le azioni e simili.
[7] Gli stessi sistemi di regolamento lordo in tempo reale (RTGS), che tipicamente richiedono la mobilizzazione di ingenti riserve di banca centrale, oggi dispongono di tecnologie informatiche che permettono l’uso di continue compensazioni fra flussi (bilaterali e/o multilaterali) di pagamenti interbancari, che riducono drasticamente il volume di riserve necessarie per il regolamento delle transazioni.
[8] Che le banche commerciali creino danaro (attraverso l’attività di prestito alla clientela) è stato riconosciuto anche dalla teoria economica mainstream, come il contributo ospitato dalla bollettino trimestrale della Banca d’Inghilterra indica (si veda McLeay et al., 2014). Il signoraggio secondario netto che esse traggono dalla creazione di moneta deriva dalla forbice fra il ricavo lordo dai prestiti e il costo per ottenere le riserve di banca centrale necessarie per il regolamento dei pagamenti (Bossone 2000, 2001 e 2017). Rileva a tal fine notare che per potere prestare danaro le banche non hanno necessità d’indebitarsi (accettando depositi); esse devono semmai procurarsi le riserve necessarie per regolare i pagamenti jnterbancari relativi all’uso delle risorse prestate, allorché queste siano movimentate: quanto più elevato è il grado d’intermediazione di ciascuna banca relativamente all’attività dei pagamenti interbancari e quanto più efficiente è la tecnologia di gestione delle riserve per il regolamento dei pagamenti, tanto maggiore risulta (a parità di costo delle stesse) il signoraggio derivante dalla creazione di moneta bancaria. Il signoraggio ovviamente aumenta laddove la banca centrale remunera le riserve che le banche detengono presso di sé.